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30 Mar

La collocazione in ferie del dipendente che rifiuta il vaccino

L’apparentemente controversa questione delle conseguenze contrattuali per il dipendente del rifiuto di vaccinarsi ha trovato il primo inquadramento giudiziario con una sintetica decisione di rara efficacia, che scolpisce principi giuridici fondanti la tutela della integrità psicofisica dei lavoratori e delle lavoratrici come assolutamente preminente e prioritaria.

 

Il Tribunale di Belluno, giudice del lavoro D.ssa Anna Travìa, si è occupata della vertenza originata dalla decisione dell’azienda (una RSA) di collocare in ferie alcuni lavoratori che avevano rifiutato la vaccinazione anticovid-19.

In tal senso è stata decisa la piena legittimità della decisione dell’azienda di collocarli in ferie. Si tratta di dipendenti operanti presso due Rsa, che hanno rifiutato l’inoculazione del vaccino anti-Covid. Per tale motivo la direzione aziendale ha loro inibito l’accesso al luogo di lavoro, e, per l’effetto, gli sono state assegnate d’ufficio le ferie di cui godere “forzatamente” nel periodo deciso autonomamente dal datore di lavoro…

 

I dipendenti hanno impugnato i provvedimenti, ricorrendo al Tribunale sezione Lavoro con un ricorso d’urgenza, nel quale veniva chiesta l’immediata riammissione in servizio.

Il giudice del lavoro ha respinto il ricorso, affermando non solo la legittimità, ma addirittura la doverosità del provvedimento delle Rsa di Belluno e Sedico.

 

Il punto in diritto su cui si fonda l’ordinanza è il dovere di massima sicurezza tecnica-organizzativa-procedurale del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, previsto dall’ articolo 2087 del Codice civile, finalizzato a garantire l’integrità psicofisica di lavoratori e lavoratrici.

Il provvedimento sottolinea come fatto notorio che il vaccino, prevenendo l’evoluzione negativa della malattia, costituisca misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui ai quali è somministrato, come dimostrano i dati desumibili proprio dall’esperienza fatta tra il personale sanitario e nelle Rsa, oltre che dalle esperienze internazionali di massiccia somministrazione del vaccino, e vengono citate in particolare quelle di Israele e gli Stati Uniti).

 

Viene poi giustamente sottolineato che i lavoratori ricorrenti «sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro», con il rischio correlato di contagio.

 

Con queste premesse il Tribunale afferma in modo netto che la permanenza in servizio di lavoratori e lavoratrici non vaccinate comporta per il datore la violazione dell’obbligo di massima sicurezza tecnica-organizzativa-procedurale di cui all’articolo 2087 del codice civile.

Pertanto, prosegue il Tribunale sez. lavoro di Belluno, il datore di lavoro, nel vietare l’accesso in azienda dei dipendenti che hanno rifiutato la vaccinazione nonostante la stessa fosse stata loro esplicitamente offerta, ha agito non solo legittimamente, ma pure nell’adempimento di un proprio dovere, di un preciso obbligo giuridico dettato in modo incontrovertibile dall’articolo 2087 del Codice Civile..

 

In tal senso l’obbligo datoriale di ottemperanza all’articolo 2087 del Codice civile prevale sull’eventuale interesse dei lavoratori a usufruire delle ferie in un periodo diverso.

In particolare, per quanto attiene l’assegnazione forzata del periodo di ferie, il Giudice respinge anche la prospettazione dei ricorrenti che paventavano, all’esaurirsi delle ferie spettanti, una possibile sospensione dal lavoro senza retribuzione o addirittura il licenziamento.

Prospettazione respinta in quanto nel momento attuale non vi è stato evidenza alcuna dell’intenzione del datore di lavoro di procedere in tal senso.

 

Con questa decisione il Tribunale del Lavoro di Belluno non si pronuncia su un punto che non è al momento attuale.

Ovvero su quello che potrebbe accadere se l’attuale pericolo di contagio e rifiuto del vaccino dovesse prolungarsi oltre l’esaurimento delle ferie spettanti ai lavoratori.

 

Resta fermo il punto in diritto secondo il quale il datore di lavoro non può consentire l’accesso al luogo di lavoro del dipendente che rifiuta di sottoporsi a vaccinazione dove questi sarebbe esposto al contagio, e quindi deve imporre il divieto di accesso.

 

Questo divieto è innanzitutto giustificato dall’obbligo datoriale assoluto e incondizionato di tutela psicofisica del dipendente stesso, a prescindere dalla, pure a ragion veduta ipotizzabile, necessità di protezione dei colleghi o dei terzi (ospiti della RSA)

 

Appare peraltro evidente che la collocazione forzata in ferie è una soluzione temporanea, ma, visto anche il prolungarsi ad di là di ogni previsione dell’emergenza pandemica, se il pericolo attuale di contagio permane e il lavoratore non recede dal suo rifiuto di vaccinazione, il tema della retribuzione per il dipendente sospeso dal servizio inevitabilmente tornerà all’ordine del giorno.

Per quanto attiene il licenziamento, il tema resta presente, ma sullo sfondo, stante il divieto di licenziamento in vigore, attualmente, fino al 30 giugno 2021.