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27 Mag

Cancerogeni: le esposizioni professionali e le direttive europee

In occasione della Settimana europea contro il cancro, che si svolge ogni anno dal 25 al 31 maggio per promuovere la sensibilizzazione in merito alla prevenzione del cancro e all’accesso alle cure, ci soffermiamo oggi su alcuni dati relativi all’incidenza dei tumori, sulla prevenzione nei luoghi di lavoro e sulla normativa comunitaria.

In particolare riguardo ai tumori maligni un intervento al un workshop sui cancerogeni occupazionali “ CANC – TUM 2020” (Civitanova Marche Alta, 19 febbraio 2020), , organizzato da Asur Marche n.3, segnala alcuni dati (esclusi i carcinomi cutanei non melanomatosi) che riguardano l’Italia:

  • incidenza:
    • circa 250.000 nuovi casi nel 1994;
    • circa 371.000 nuovi casi nel 2019.
  • prevalenza:
    • circa 2.244.000 pazienti nel 1994;
    • circa 3.460.000 pazienti nel 2019.

Si segnala che è sicuramente “cambiata la sopravvivenza dopo una diagnosi di tumore maligno in Italia”, “anche se dobbiamo tener conto della possibilità che l’anticipazione diagnostica influisca in qualche misura sui dati formali di sopravvivenza”.

La sopravvivenza complessiva a 5 anni dalla diagnosi nel triennio 2009-2011 è stata del 64% nelle femmine e 55% nei maschi con un deciso incremento rispetto al triennio 1994/1996.

A riportare questi dati, ricordando come il cancro sia un “fenomeno complesso nella cui genesi entrano eventi molteplici” e fornendo informazioni sul tema delle esposizioni, sulla normativa e sui registri tumori è l’intervento dal titolo “Le nuove direttive comunitarie sui cancerogeni e i mutageni in ambiente di lavoro: interazioni con la legge 29/2019 per la rete nazionale italiana dei registri tumori”, a cura di Roberto Calisti (SPreSAL Epi Occ – Asur Marche AV3).

Argomenti:

  • L’esposizione ai cancerogeni e l’incremento del rischio di cancro
  • Le tre nuove direttive comunitarie e i valori limite di esposizione
  • Le tre nuove direttive comunitarie e la sorveglianza sanitaria

    L’esposizione ai cancerogeni e l’incremento del rischio di cancro

    Si ricorda che “è nozione comune che, salvi casi estremamente particolari, grazie ai processi di controllo/difesa dell’organismo, ad ammalarsi di cancro è solo una frazione modesta di quanti siano esposti a un agente cancerogeno, anche in misura importante”.

    In ogni caso “un incremento dell’intensità e/o della durata dell’esposizione ad agenti cancerogeni comunque determina un incremento della probabilità che una cellula sfugga a tutti i meccanismi di controllo, giunga a configurarsi come cellula tumorale tout court e, proliferando, dia luogo a una popolazione cellulare neoplastica”. E dunque determina un “incremento del rischio di cancro”.

    Quindi – continua la relazione – “la prima cosa da fare è di abbattere le esposizioni cancerogene, fino ad eliminarle ove possibile”.

    Inoltre quando un’esposizione a cancerogeni ci sia stata, “una seconda linea di difesa è una sorveglianza sanitaria mirata a una diagnosi precoce efficace (vale a dire, che aumenti le possibilità di terapia efficace). In presenza di tumori ormai realizzati bisogna comprendere perchè ciò è accaduto: in primo luogo per contrastare la possibilità che il fenomeno si ripeta”.

    Senza dimenticare che se un cancro “è causato da esposizioni occupazionali, si presentano anche altre questioni”:

    • le esposizioni e il rischio correlato erano conoscibili e, in questo caso, erano evitabili, magari applicando il principio di precauzione?
    • è giusta e possibile una qualche forma di indennizzo alle parti lese in aggiunta alle tutele ordinarie?

    Si indica poi che non è facilissimo “stabilire che un cancro è stato causato da un’esposizione occupazionale:

    • spesso sappiamo poco della storia espositiva di un singolo paziente neoplastico come anche di una popolazione lavorativa in cui si è verificato un eccesso di cancri;
    • spesso nel processo di cancerogenesi intervengono interazioni sinergiche, ad esempio tra esposizioni occupazionali e fumo di tabacco;
    • spesso si contrappongono pareri discordanti riguardo alla cancerogenicità di determinati agenti, con un impatto importante dei conflitti di interesse”.

    Riprendiamo dalle slide una immagine relativa al caso dell’erbicida glyphosate in rapporto ai linfomi:

    Nonostante tutto “è possibile comprendere l’origine occupazionale di un eccesso di tumori in una popolazione lavorativa adeguatamente studiata come di un caso individuale di cancro in un lavoratore la cui storia espositiva sia sufficientemente nota”.

    Le tre nuove direttive comunitarie e i valori limite di esposizione

    Dopo aver riportato altri dati (in Italia, a seconda delle stime, ci sarebbero “all’incirca tra 7.000 e 30.000” nuovi casi di tumori professionali ogni anno) e indicato alcune tipologie di tumori professionali, il relatore si sofferma sulla normativa europea.

    Si indica che “il problema del cancro professionale e della sua prevenzione è considerato rilevante dall’unione Europea tanto che ad esso sono state recentemente dedicate tre nuove direttive comunitarie (dicembre 2017, gennaio 2019 e giugno 2019)” che aggiornano “quella originaria del 2004 per la “protezione dei lavoratori dai rischi correlati all’esposizione a cancerogeni e mutageni sul lavoro”:

    • Direttiva (UE) 2017/2398 (recepita con il D.Lgs. 1° giugno 2020 n. 44)
    • Direttiva (UE) 2019/130 (recepita con il Decreto 11 febbraio 2021)
    • Direttiva (UE) 2019/983 (recepita con il Decreto 11 febbraio 2021).

    Le tre direttive stabiliscono “numerosi nuovi valori limite di esposizione occupazionale (VLEP)” e non si limitano a questo.

    Si ricorda poi che in Italia le norme di cui al Capo II del Titolo IX del decreto legislativo n. 81/2008 “si applicano ai cancerogeni e mutageni di classe 1A E 1B UE, vale a dire:

    • per i cancerogeni: ‘sostanze di cui sono noti effetti cancerogeni per l’uomo e ‘sostanze di cui si presumono effetti cancerogeni per l’uomo”;
    • per i mutageni: ‘sostanze di cui sono noti effetti mutageni di cellule germinali’ e ‘sostanze per cui si presumono effetti mutageni di cellule germinali’”.

    In particolare le tre «nuove direttive cancerogeni» “stabiliscono nuovi valori limite di esposizione professionale (VLEP) per numerosi agenti importanti”, tra essi “le polveri di silice libera cristallina (SLC), un set di composti del Cromo VI, il benzene, il cloruro di vinile monomero (CVM), l’ossido di etilene, l’o-toluidina, l’1,3-butadiene, le polveri di legno duro, il tricloroetilene, le emissioni di gas di scarico dei motori diesel, il Cadmio e i suoi composti inorganici, la formaldeide”.

    Inoltre le direttive esplicitano che i VLEP sono stabiliti:

    • sulla base delle informazioni disponibili, compresi i dati scientifici e tecnici, la fattibilità economica, una valutazione approfondita dell’impatto socio-economico e la disponibilità di protocolli e tecniche di misurazione dell’esposizione sul luogo di lavoro’ (dicembre 2017);
    • sulla base di valide fonti scientifiche disponibili quali il comitato per la valutazione dei rischi (RAC) dell’ECHA, l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) e gli organismi nazionali’ (giugno 2019).

    Si tratta dunque di limiti pragmatici e il fatto che i VLEP comunitari siano di natura pragmatica “è, tra l’altro, alla base della previsione di ‘periodi transizionali’ per diversi agenti.

    Ad esempio ‘per quanto riguarda il cromo VI, un valore limite di 0,005 mg/m3 può non essere adeguato e, in alcuni settori, può essere difficile da rispettare nel breve termine. È opportuno pertanto introdurre un periodo di transizione durante il quale si dovrebbe applicare il valore limite di 0,010 mg/m3. Nel caso specifico di un’attività lavorativa implicante procedimenti di saldatura o taglio al plasma o analoghi procedimenti di lavorazione che producono fumi, si dovrebbe applicare un valore limite di 0,025 mg/m3 durante detto periodo di transizione (…)’ (dicembre 2017).

    Si indica che “in linea di principio i VLEP dovrebbero tendere al DNEL (Livello Derivato di Non Effetto); in pratica, spesso sono più alti di un qualsiasi DMEL (Livello Derivato di Effetto Minimo)”.

    Le tre nuove direttive comunitarie e la sorveglianza sanitaria

    L’intervento, che riporta poi indicazioni tratti da technical report, metanalisi e norme tecniche (norma UNI 689/2019), segnala che le tre «nuove direttive cancerogeni» “prefigurano sistemi nazionali per una sorveglianza sanitaria ad hoc che si può protrarre anche dopo il termine dell’esposizione”: ‘gli Stati membri adottano, conformemente alle leggi o alle prassi nazionali, provvedimenti intesi ad assicurare un’adeguata sorveglianza sanitaria dei lavoratori per i quali la valutazione (…) riveli un rischio per la salute o la sicurezza. Il medico o l’autorità responsabile della sorveglianza sanitaria dei lavoratori può segnalare che la sorveglianza sanitaria debba proseguire al termine dell’esposizione per il periodo di tempo che ritiene necessario per proteggere la salute del lavoratore interessato’ (dicembre 2017).

    In questo senso le tre «nuove direttive cancerogeni» “implicano la necessità di sistemi nazionali atti a identificare, registrare, studiare a fondo i tumori professionali: a iniziare dai flussi di notifica obbligatoria dei tumori professionali”.

    A questo proposto l’Italia “ha già una base ampia di ‘registri tumori’ e, in generale di sistemi di sorveglianza della patologia neoplastica”, ma “è senz’altro utile una qualche forma di coordinamento”, realmente “di rete” anche “ai fini di una corretta comunicazione, verso la ‘comunità scientifica’ come verso la popolazione”. Infatti “senza conoscenze, ‘partecipazione’ è una parola vuota”.

    Concludiamo ricordano che l’intervento si sofferma infine sulla legge 22 marzo 2019, n. 29 “che istituisce e disciplina:

    • la ‘Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza dei sistemi sanitari regionali’;
    • il ‘referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione’”.

    E ai sensi dell’art. 1, la rete deve: „

    • “coordinare, standardizzare, supervisionare la raccolta e il flusso dei dati;
    • monitorare descrittivamente l’andamento del fenomeno ‘cancro’ (incidenza, mortalità);
    • validare gli studi epidemiologici condotti ai fini della redazione del ‘referto epidemiologico’ (art. 4);
    • studiare i determinanti del rischio di cancro;
    • valutare la qualità delle cure e dell’assistenza sanitaria”.

    Si indica, infine, che (art. 4 – comma 2) ‘ai fini della presente legge, per «referto epidemiologico» si intende il dato aggregato o macrodato corrispondente alla valutazione dello stato di salute complessivo di una comunità che si ottiene da un esame epidemiologico delle principali informazioni relative a tutti i malati e a tutti gli eventi sanitari di una popolazione in uno specifico ambito temporale e in un ambito territoriale circoscritto o a livello nazionale (…) al fine di individuare la diffusione e l’andamento di specifiche patologie e identificare eventuali criticità di origine ambientale, professionale o socio-sanitaria’. E (art. 5) ‘l’obbligo di raccolta e di conferimento dei dati e di produzione dei flussi nei modi, nei termini e con la consistenza definiti ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 1, con particolare riferimento ai dati dei registri di patologia (…) rappresenta un adempimento ai fini della verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) (…)’.