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13 Giu

Applicazione del D.Lgs.231/01 all’incidente ferroviario Andria-Corato

Il tema dell’ammissibilità o meno della costituzione di parte civile nel procedimento a carico della persona giuridica ai sensi del D.Lgs.231/01 e del riconoscimento o meno dei diritti delle persone danneggiate ad esercitare l’azione risarcitoria “diretta” nei confronti dell’Ente è sempre stato oggetto di un acceso dibattito in dottrina e in giurisprudenza, tra interpretazioni cosiddette “estensive” e interpretazioni cosiddette “restrittive”. Un’interpretazione “estensiva”, che ha riconosciuto l’esistenza di tali diritti, è arrivata il mese scorso dal Tribunale di Trani (Sezione Unica Penale), che con l’ordinanza 7 maggio 2019 ha ribaltato la precedente decisione del GUP che aveva dichiarato inammissibile la costituzione di parte civile nei confronti di F. s.p.a. imputata – a seguito del noto incidente ferroviario sulla tratta Andria-Corato – dell’illecito amministrativo da reato di cui all’art.25-septies del D.Lgs 231/01.

Secondo la tesi del GUP, non fatta propria dall’ordinanza su richiamata del Tribunale, l’inammissibilità della richiesta di costituzione di parte civile formulata nei confronti dell’Ente sarebbe stata giustificata da un lato dalla “circostanza che nel D.L.vo 231 del 2001 manca ogni riferimento espresso alla parte civile” e dall’altro dalla considerazione che “l’illecito amministrativo non si identifica con il reato”, laddove “il presupposto per la costituzione di parte civile è rappresentato dalla commissione di un reato e non di un illecito amministrativo dipendente da reato.”

 Il Tribunale di Trani ha ritenuto invece che “debba essere accolta la tesi “estensiva”, ammettendo la possibilità per il danneggiato di avanzare la propria pretesa risarcitoria direttamente nei confronti dell’ente, nell’ambito del processo penale, instaurato anche nei confronti della persona giuridica, per accertare a suo carico la responsabilità per l’illecito amministrativo dipendente da reato.”

 Di conseguenza, ha “dichiarato ammissibili le costituzioni di parte civile avanzate nei confronti della F. s.p.a. dall’ACU, nonché da P.E., DB.V., A.T., G.M., S.S., I.N., G.E., In.B., L.I., I.M., S.G., S.M., T.V., C.D., T.T., T.N., I.A., Comune di Andria, Comune di Corato” oltre che da “Confconsumatori, Codacons, UBF e GEPA nonché nell’interesse di A.A., A.R., A.P. e A.F.”.

 Nell’affermare tale principio e trarne le conseguenti decisioni, il Tribunale ha analizzato nel dettaglio il sistema normativo di cui al decreto 231/01 sotto il profilo degli aspetti civilistici correlati al risarcimento del danno.

L’autonomia della responsabilità dell’Ente

L’ordinanza ricorda anzitutto che il D.Lgs.231/01 è stato emanato, quale “epilogo di un lungo cammino volto a contrastare il fenomeno della criminalità d’impresa, […] nella prospettiva di omogeneizzare la normativa interna a quella internazionale di matrice prevalentemente anglosassone, ispirata al c.d. pragmatismo giuridico” (Cass.Sez.U, sentenza n.26654 del 27.3,2008, Rv.239923, in motivazione).” La giurisprudenza sul D.Lgs 231/01 ha anche chiarito nel tempo “la natura autonoma della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto”, come dimostrato dal fatto che “ai sensi dell’art.8 del decreto, rubricato per l’appunto “autonomia della responsabilità dell’ente”, la responsabilità dell’ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l’autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall’amnistia”.

In questo senso, la responsabilità della persona giuridica ai sensi del D.Lgs.231/01 “investe direttamente l’ente, trovando nellacommissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l’intera sua concretizzazione.”

 Conseguenza ne è il fatto che “la colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell’ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica (cfr. conforme – tra le altre – Cass. Sez.4, sentenza n. 38363 del 23.5.2018, Rv. 274320, in motivazione).”

 

 Tutto ciò premesso, secondo il Tribunale di Trani, non ha rilevanza – in relazione alla problematica in oggetto – il fatto che quando è stato emanato il decreto 231/01 il legislatore non abbia dato attuazione a quella parte della legge delega (L.n.300/2000) che dava mandato al Governo di prevedere e regolamentare nel decreto il sistema risarcitorio, “poiché il legislatore non ha espressamente disciplinato l’azione di responsabilità civile nei confronti dell’ente – responsabile a norma del D.L.vo n.231 del 2001 – non intendendo adeguarsi alla delega, proprio perché individua un criterio peggiorativo e diverso rispetto a quello stabilito dalle regole del codice di procedura penale che, a loro volta, richiamano espressamente quelle del codice penale.”

 

Il danno direttamente risarcibile derivante dall’illecito amministrativo e la costituzione di parte civile

Dalle parole del Tribunale si deduce – e questo è un punto essenziale – che è individuabile un danno direttamente risarcibile derivante dall’illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato.

Ciò è dimostrato – come sottolineato nell’ordinanza – dall’analisi delle norme contenute nel D.Lgs 231/01.che mostrano “la stretta connessione tra reato e responsabilità da reato degli enti sia con riferimento ai criteri d’imputazione oggettiva dei reati all’ente – rappresentati dal riferimento contenuto nell’art 5 all’interesse o al vantaggio, alternativi e concorrenti tra di loro, che nei reati colposi d’evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico (Cass. Sezioni Unite, sentenza n.38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv 261112-261113-26114-26115) – sia con riferimento a tutte le norme del D.L.vo n.231 del 2001, che prevedono che la responsabilità dell’ente è collegata al reato.”

 

In particolare, il Tribunale sotto questo profilo ricorda che l’art.50 del D.Lgs.231/01 “prevede la revoca delle sanzioni interdittive, disposte ai sensi del precedente art.45, quando le correlative esigenze cautelari risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti (non tipizzati dalla norma), ovvero in presenza delle ipotesi previste dall’art.17, che disciplina la riparazione delle conseguenze del reato, prevedendo che essa possa ritenersi attuata nella concorrenza di tre condizioni, che devono essere adempiute prima dell’apertura del dibattimento di primo grado:

a) che l’ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose del reato, ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in questo senso;

b) che abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi;

c) che abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.”

 Trattasi di condizioni che “devono peraltro necessariamente concorrere, sia al fine di evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive, che per giustificarne la revoca (Cass. sez.2, sentenza n.326 del 28.11.2013, Rv.258219; Cass. sez.2, sentenza n.40749 dell’1.10.2009, Rv.244850).”

Il “sistema 231” ha dunque secondo il Tribunale un “carattere prettamente preventivo, volto a prescegliere sanzioni e misure cautelari funzionali a prevenire per il futuro la commissione dei reati attraverso la strutturazione regolativa dell’organizzazione capace di controllare, da sé, se stessa.

 

Tutto questo – conclude l’ordinanza – “si traduce nel diritto delle persone offese o danneggiate di esercitare l’azione risarcitoria diretta nei confronti dell’ente, per fatto proprio, diversa dall’azione indiretta, esercita nei suoi confronti, quale responsabile civile.”

 

La prima sentenza di Cassazione sulla costituzione di parte civile nei procedimenti 231 a carico dell’Ente (esclusione)

Non possiamo qui dare conto, per esigenze di brevità, delle varie sentenze di merito e di legittimità che si sono succedute negli anni su questo tema.

 

Le due norme che sono state oggetto dell’analisi di questa pronuncia della Cassazione (e la cui applicabilità è al centro non solo di questa sentenza ma anche della questione nel suo complesso) sono le seguenti:

 “Art.185 c.p. (Restituzioni e risarcimento del danno):

Ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili.

Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.”

 “Art.74 c.p.p. (Legittimazione all’azione civile)

1. L’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’articolo 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell’imputato e del responsabile civile.”

Secondo la Cassazione – in questa sentenza del 2011 – il principale ostacolo all’applicazione diretta dell’art.185 c.p. alla disciplina del processo a carico della persona giuridica è rappresentato dal fatto che tale norma “si riferisce esclusivamente ai danni cagionati dal reato, nozione quest’ultima che non può coprire anche l’illecito dell’ente, cosi come delineato nel citato d.lgs.231/2001”.

In ordine poi all’assenza di una regolamentazione all’interno del decreto 231/01 del sistema risarcitorio e dell’istituto della costituzione di parte civile, la Corte perveniva alla conclusione (di segno opposto rispetto a quella del Tribunale di Trani nell’ordinanza del mese scorso) secondo cui “se non è ipotizzabile l’esistenza di un danno che possa presentarsi come conseguenza immediata e diretta dell’illecito amministrativo allora “l’ostinato silenzio” del legislatore sulla parte civile e sulla possibilità di costituirsi in giudizio per far valere le pretese risarcitorie assume un significato ancor più preciso, apparendo del tutto ragionevole l’esclusione della parte civile dalla cerchia dei protagonisti del processo a carico dell’ente.”