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04 Lug

Microclima: indicazioni per la valutazione del rischio

DESCRIZIONE DEL RISCHIO

Con il termine microclima si intende il complesso di parametri ambientali che caratterizzano localmente l’ambiente in cui l’individuo vive e lavora e che congiuntamente a parametri individuali quali l’attività metabolica correlata al compito lavorativo, la resistenza termica del vestiario determinata dalle caratteristiche dell’abbigliamento indossato, condizionano gli scambi termici tra soggetto e ambiente circostante. L’approccio al problema, la metodologia d’indagine e le relative norme di riferimento, dipendono dalla tipologia di ambiente termico in questione.

Per questo motivo gli ambienti termici vengono distinti generalmente in ambienti moderati e severi (caldi o freddi).

Fondamentalmente, negli ambienti moderati l’obiettivo da perseguire è il raggiungimento di una condizione di comfort, non essendo presente in genere, in questa tipologia di ambienti, un vincolo dettato da esigenze produttive tali da impedire un intervento di carattere tecnico, organizzativo o procedurale che possa rendere l’ambiente termico confortevole ai fini dell’espletamento delle attivitità ivi svolte.

Negli ambienti severi, al contrario, esiste di solito un vincolo legato alle necessità produttive o alle condizioni ambientali che non consente di poter conseguire le condizioni di comfort. In tal caso, l’obiettivo da porsi è la salvaguardia della sicurezza e della salute dei lavoratori, il cui sistema di termoregolazione può essere sollecitato in maniera significativa nel tentativo di mantenere la temperatura centrale nei limiti fisiologici. In tali ambienti, così come negli ambienti moderati in condizioni esterne agli intervalli di applicabilità degli  indici PMV/PPD, sarà necessario tenere conto dei rischi legati all’esposizione di soggetti sensibili caratterizzati da una alterata capacità di termoregolazione fisiologica, come avviene ad esempio nelle donne durante la gravidanza, o indotta da patologie preesistenti che possono alterare la percezione termica, quali ad esempio patologie dell’apparato cardiocircolatorio o del sistema endocrino, che richiedano trattamento con farmaci che influiscono sul sistema di termoregolazione.

Nel contesto occupazionale si stima  che ci siano 2 lavoratori su 1000 a rischio a causa di questo agente. Un fattore discriminate è l’abitudine al  lavoro al caldo/freddo, la consapevolezza del rischio, l’essere o meno in condizioni individuali di suscettibilità; è infatti stato spesso riscontrato come i maggiori problemi interessino coloro che non sono abituati né fisicamente né psicologicamente ad affrontare il caldo/freddo. Un altro elemento chiave è la sottovalutazione del rischio, spesso percepito minore di quello reale, talvolta aggravato da un’eccessiva responsabilizzazione al dovere e/o motivazione,  come  tipicamente avviene  nel caso delle esposizioni in edilizia, agricoltura, o nel caso degli operatori dell’emergenza, come sanitari, vigili del fuoco, pubblica sicurezza etc.

Pertanto, i gruppi professionali a rischio devono essere informati sulle possibili misure da adottare per prevenire gli effetti avversi dell’esposizione al microclima caldo o freddo

Con l’emanazione del D.Lgs. 81/2008 il microclima è stato riconosciuto come agente di rischio fisico, ai sensi dell’art. 180 che definisce tali agenti e ne individua il campo di applicazione, rendendone obbligatoria la valutazione dei rischi, così come stabilito dall’art. 181. L’art.181, comma 1, specifica che la valutazione del rischio di tutti gli agenti fisici deve essere tale da “identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione” facendo “particolare riferimento alle norme di buona tecnica e alle buone prassi”.  Considerato che al microclima non viene dedicato un capo specifico all’interno del Titolo VIII, è necessario fare ricorso a specifiche norme tecniche di settore che consentono di effettuare una valutazione quantitativa del rischio e di adottare le opportune misure di prevenzione e protezione. Tali norme differiscono a seconda del tipo di ambiente termico in esame.

FISIOLOGIA DELLA TERMOREGOLAZIONE

L’organismo umano viene definito “omeotermo”, è in grado, cioè, di mantenere costante la propria temperatura centrale in un range ristretto di 37±1 °C nelle più diverse condizioni climatiche, attraverso continui scambi termici con l’ambiente circostante che avvengono per convezione, evaporazione, irraggiamento e, in misura minore, per conduzione tramite la superficie cutanea e per convezione ed evaporazione attraverso l’attività respiratoria. Nella maggior parte dei casi gli scambi termici tra l’ambiente  e le persone che operano al suo interno sono  condizionati da 4 parametri ambientali (temperatura, velocità e umidità relativa, temperatura media radiante) e 2 parametri legati al soggetto (metabolismo energetico e isolamento termico dell’abbigliamento).

I 4 parametri ambientali sono misurabili direttamente mediante una centralina microclimatica e consentono di caratterizzare l’ambiente termico in esame; i 2 parametri “soggettivi”, al contrario, non sono misurabili direttamente, pertanto le valutazioni del metabolismo energetico e dell’isolamento termico vengono effettuate mediante l’utilizzo di specifiche norme tecniche. Noti i 6 parametri citati, si è in grado di svolgere le procedure analitiche che conducono al calcolo degli indici che hanno alla base, nella maggior parte dei casi, l’equazione di bilancio termico.

L’equazione di bilancio energetico applicata al corpo umano, in termini di energia per unità di tempo ovvero di potenza, assume la seguente forma:

S = M – W ± CRES± ERES± K ± C ± R – E

dove

S = variazione di energia interna, ovvero differenza tra la potenza termica acquisita e dissipata dal corpo umano;

M = metabolismo energetico

W = potenza meccanica impegnata per compiere lavoro meccanico;

CRES= potenza termica scambiata nella respirazione per convezione;

ERES= potenza termica scambiata nella respirazione per evaporazione;

K = potenza termica scambiata per conduzione;

C = potenza termica scambiata per convezione;

R = potenza termica scambiata per irraggiamento;

E = potenza termica ceduta per traspirazione e sudorazione;

Nell’equazione i singoli termini hanno segno + se si ha un guadagno di energia, mentre hanno segno – se si ha una perdita di energia.

L’equazione può assumere i seguenti valori:

–          S = 0 rappresenta la condizione di equilibrio termico, non c’è variazione di energia all’interno del corpo, la temperatura tende a rimanere costante, la sensazione è di neutralità termica;

–          S>0 la potenza termica in ingresso nel corpo è maggiore di quella in uscita. Tale variazione positiva di energia interna determina un incremento della temperatura centrale con conseguente sensazione di caldo;

–          S<0, la potenza termica in ingresso è minore di quella in uscita. Tale variazione negativa di energia interna determina un decremento della temperatura centrale con conseguente sensazione di freddo.

Il mantenimento dell’equilibrio termico è assicurato da un complesso sistema di termoregolazione in cui l’ipotalamo, nella sua regione anteriore e nell’area preottica, svolge la funzione di un vero e proprio termostato. A queste aree giungono informazioni provenienti dai termocettori profondi centrali che rendono conto delle variazioni della temperatura centrale dell’organismo e dai termocettori periferici sensibili al caldo (corpuscoli di Ruffini) e al freddo (corpuscoli di Krause), diffusi su tutta la superficie corporea. Il centro di termoregolazione ipotalamico integra tali informazioni e con un meccanismo di controllo nervoso a feed-back attiva gli effettori periferici modulando la risposta in relazione alla necessità di dissipare il calore o di incrementarne la produzione.

Nel caso di esposizione ad ambienti severi caldi, con tendenza all’incremento della temperatura centrale e conseguente necessità di disperdere calore verso l’esterno, il primo meccanismo ad essere attivato è la vasodilatazione periferica. Il sangue ha elevata capacità termica specifica e conducibilità termica, pertanto il suo passaggio nel sistema venoso dei distretti periferici e il conseguente riscaldamento della superficie cutanea consentono la dispersione del calore accumulato centralmente verso gli strati d’aria immediatamente contigui alla superficie, nel caso in cui l’aria circostante si trovi ad una temperatura inferiore rispetto alla pelle, innanzitutto con meccanismo convettivo.  La cessione di calore continua man mano che l’aria riscaldata viene sostituita da strati d’aria più fresca. Al meccanismo di dissipazione del calore contribuisce in misura importante l’irraggiamento, molto meno la conduzione a causa della ridotta superficie di contatto, soprattutto per soggetti in piedi, e l’evaporazione dall’epidermide mediante gli scambi respiratori.

Successivamente, nonché in caso di temperatura dell’aria superiore a quella della superficie del corpo, che porterebbe ad un trasferimento di calore in senso inverso, il meccanismo prevalente e decisamente più efficace di raffreddamento del corpo è rappresentato dalla evaporazione del sudore. L’aumento della velocità dell’aria rende più efficiente il meccanismo di termodispersione per convezione e per evaporazione. Poiché la velocità di evaporazione è dipendente dalla tensione di vapore d’acqua, è esplicito che quanto più l’aria ambiente è satura di umidità tanto minore è l’evaporazione.

Va detto che tale meccanismo è reso più efficiente, in termini di velocità di produzione e di efficacia del processo evaporativo del sudore, dall’acclimatamento del soggetto rispetto al soggetto non acclimatato. Anche la deplezione di sali per esposizioni prolungate ad ambienti severi caldi risulta ridotta nel soggetto acclimatato e sono inferiori le ripercussioni sull’apparato cardiovascolare nel complesso.

Le risposte effettrici che l’ipotalamo mette in atto nel caso di esposizione ad ambienti che si configurano come severi freddi sono esattamente opposte a quelle finora descritte, essendo finalizzate ad impedire la dispersione di calore all’esterno e ad assicurare il mantenimento della temperatura centrale nei limiti fisiologici. La vasocostrizione periferica è il primo meccanismo ad innescarsi in tal senso, a seguire viene prodotto calore mediante il meccanismo della termogenesi con brivido per attivazione dei muscoli scheletrici.

In entrambe le condizioni, quando i meccanismi fisiologici non sono più sufficienti a contrastare il prolungato stress termico, l’organismo mette in atto dei meccanismi “comportamentali”: riduzione del movimento fino al blocco di ogni attività muscolare volontaria con lo scopo di evitare la produzione di calore endogeno negli ambienti severi caldi; attivazione volontaria delle masse muscolari per incrementare la produzione di calore in caso di esposizione ad ambienti severi freddi.

 Soggetti particolarmente sensibili all’ambiente termico

Donne in gravidanza

In gravidanza il caldo può essere causa di disidratazione, con la perdita, attraverso la sudorazione, di liquidi e sali minerali, preziosi per l’equilibrio materno-fetale.

Persone con malattie croniche

  • Persone ipertese e cardiopatiche: I soggetti  ipertesi e cardiopatici  sono particolarmente sensibili agli effetti negativi del caldo e del freddo e, in particolare, possono manifestare episodi di abbassamento della pressione arteriosa che possono causare anche perdita di coscienza in ambienti caldi, incrementi pressori al freddo.
    In caso di esposizione lavorativa ad ambienti severi  sarà compito e cura del medico competente tenere conto delle condizioni fisiche e delle terapie in corso del lavoratore.
  • Persone con diabete: Nei diabetici si verifica una globale alterazione nella reattività microvascolare, con conseguente ridotta vasocostrizione in risposta all’esposizione a basse temperature e ridotta vasodilatazione al caldo, condizioni esacerbate nei soggetti affetti da neuropatia periferica, i quali sembrano essere ancora più suscettibili all’esposizione a temperature ambientali estreme, che richiederebbero una rapida e valida attivazione dei meccanismi termoregolatori. Nel caso di esposizione a basse temperature, quindi, nel soggetto diabetico, la ridotta vasocostrizione comporta un aumento della dispersione di calore, accentuata dall’inibizione del meccanismo del brivido indotta dall’ipoglicemia, ed un conseguente maggior rischio di sviluppare ipotermia. Numerosi studi correlano questa condizione ad un aumentato rischio di patologie cardiovascolari, favorite dalla coesistenza di neuropatie periferiche. In caso di esposizione ad ambienti severi caldi, alla già citata ridotta vasodilazione, si associa la ridotta risposta ortostatica al caldo a seguito delle alterazioni del sistema nervoso autonomo. Ne consegue una minore dispersione termica con rischio di incremento della temperatura centrale e il manifestarsi di patologie correlate all’esposizione ad alte temperature, tanto più se l’attività lavorativa dovesse comportare un elevato dispendio energetico.
  • Persone con insufficienza renale e/o dializzate: I soggetti con grave insufficienza renale o dializzati sono maggiormente a rischio poiché, soprattutto nel caso di nefropatia diabetica, è riportata in letteratura una frequente associazione con ipertensione arteriosa e malattie cardiovascolari ad alta mortalità.
  • Persone affette da disturbi psichici: Le persone che soffrono di disturbi psichici possono essere più vulnerabili perché a causa del loro minore grado di consapevolezza del rischio possono assumere comportamenti inadeguati. Inoltre, è bene ricordare che questo gruppo di persone fa abituale uso di farmaci e ciò può aggravare gli effetti indotti dall’esposizione a temperature severe.
  • Persone che assumono regolarmente alcuni tipi di farmaci: Alcuni farmaci possono favorire disturbi causati dal caldo, perché interferiscono con i meccanismi della termoregolazione o perché influenzano lo stato di idratazione del soggetto, come ad esempio i farmaci assunti per:
  • ipertensione e malattie cardiovascolari
  • disturbi della coagulazione
  • malattie neurologiche
  • malattie psichiatriche
  • disturbi della tiroide
  • malattie respiratorie croniche

Di seguito si riporta una tabella di sintesi delle principali disabilità termiche e delle disabilità primarie associate (tratta da ISO 28803:2012) 

 

PATOLOGIE DA AMBIENTI SEVERI

Una situazione di comfort termico prevede quindi un equilibrio tra la quantità di calore prodotta dall’organismo e la quantità di calore assunta dall’ambiente o ceduta all’ambiente attraverso i diversi meccanismi di termoregolazione.

Allorché il bilancio termico diventa positivo (o negativo) intervengono i meccanismi termoregolatori al fine di mantenere la temperatura entro i limiti compatibili con le funzioni vitali.

L’impegno esasperato di tali meccanismi dà luogo ad una situazione di stress termico, che può preludere allo sviluppo di veri e propri processi patologici se l’esposizione non viene limitata nel tempo.

Un’attivazione intensa e prolungata dei meccanismi deputati alla termoregolazione può portare infatti ad un cedimento del sistema di controllo, con conseguente insorgenza di manifestazioni patologiche da calore o da freddo anche gravi, conseguenti ad un progressivo ed inesorabile innalzamento o riduzione della temperatura centrale, che possono essere schematizzate nelle manifestazioni fisiopatologiche di seguito riportate.

 

PATOLOGIE DA ALTE TEMPERATURE

Un’attività lavorativa ad elevato impegno fisico effettuata in ambienti severi caldi impone richieste conflittuali al sistema cardiovascolare: da una parte la vasodilatazione periferica aumenta il flusso di sangue verso la superficie corporea nel tentativo di dissipare il calore che tende ad incrementare la temperatura centrale; dall’altra, il lavoro muscolare intenso richiede a sua volta un incremento del flusso sanguigno verso i distretti muscolari interessati dallo sforzo. Poiché la gittata cardiaca non può comunque eccedere il flusso garantito dal ritorno venoso, la capacità cardiaca costituisce un fattore limitante per il lavoro intenso svolto in ambienti severi caldi e il sistema cardiovascolare può trovarsi in una condizione di sovraccarico tale da non poter soddisfare adeguatamente entrambe le esigenze.

Una patologia tipicamente correlata al lavoro in ambienti caldi è la sincope da calore, dovuta a un’eccessiva vasodilatazione che dà luogo a stasi venosa periferica, ipotensione e insufficiente flusso sanguigno cerebrale, manifestandosi con una perdita di coscienza preceduta da pallore, stordimento e vertigini. Nei soggetti che svolgono attività lavorativa in ambienti severi caldi, in particolare se non acclimatati, si accompagna spesso ad una ipertermia che può raggiungere i 39 °C, ma non comporta né abolizione della sudorazione né agitazione motoria.

Una condizione più grave di quella descritta è rappresentata dall’esaurimento della termoregolazione, che può manifestarsi tramite due forme cliniche in cui l’elemento comune è costituito dall’innalzamento della temperatura centrale al di sopra dei 40.5 °C e dall’arresto della sudorazione, dovuti al blocco dei meccanismi centrali della termoregolazione, mentre si distinguono essenzialmente per la diversa intensità dei sintomi nervosi: agitazione o delirio nel caso di iperpiressia, con cute secca e ardente, prostrazione, grave ipotonia muscolare, polipnea, tachicardia, incoordinazione motoria; convulsioni epilettiformi o coma nel colpo di calore, che costituisce un aggravamento della forma precedente e può essere letale se non trattato rapidamente.

crampi da calore costituiscono una condizione patologica caratterizzata da spasmi muscolari dolorosi della durata di 1-3 minuti a carico di polpaccio, addome, colonna vertebrale, causati dallo svolgimento di attività muscolari intense in ambiente caldo-umido. Sono preceduti in genere da astenia ingravescente, cute umida, calda e arrossata, ipotensione, e possono essere prevenuti da un’adeguata assunzione di acqua e dalla somministrazione di soluzioni isotoniche di cloruro di sodio.

L’inadeguato ripristino delle perdite d’acqua conseguenti alla sudorazione può portare nel giro di qualche ora al deficit idrico. I disturbi da disidratazione cominciano a manifestarsi quando le perdite raggiungono il 5% del volume d’acqua totale con sintomi e segni clinici rappresentati da: sete marcata, polso rapido, sudorazione ridotta o abolita, densità urinaria elevata, sodio plasmatico aumentato. Il deficit sodico è dovuto ad inadeguato ripristino del sodio perso con il sudore e si instaura generalmente dopo almeno 3-5 giorni di esposizione, con i seguenti sintomi e segni: intensa sensazione di fatica, polso lento, sete discreta, frequenti vertigini, crampi e vomito, emoconcentrazione precoce e pronunciata, marcata diminuzione di sodio e cloro urinari, riduzione del sodio plasmatico.

Tra le manifestazioni da esposizione ad ambienti severi caldi rientrano patologie a carico della pelle e delle ghiandole sudoripare quali le ustioni, sia per contatto con un solido o un liquido caldi, sia per irradiazione; un disturbo più lieve è rappresentato dall’eritema da calore, che consiste in un’eruzione papulo-vescicolosa con eritema e prurito, conseguente ad eccessiva e prolungata presenza di sudore sulla pelle. Tale manifestazione può essere seguita da anidrosi, cioè arresto della secrezione di sudore, dovuta all’ostruzione dei canali escretori delle ghiandole sudoripare da parte di tappi di cheratina.

 PATOLOGIE DA BASSE TEMPERATURE

Si distinguono patologie sistemiche e patologie localizzate. Tra le patologie sistemiche rientra l’orticaria da freddo, tipica di soggetti con abnorme reattività alle basse temperature, nei quali l’esposizione anche breve al freddo non eccessivo può essere seguita da vasodilatazione prolungata, con formazione di elementi eritemato-pomfoidi dolenti e pruriginosi. Tali elementi possono estendersi a tutto il corpo e può accompagnarsi una reazione sistemica con tachicardia, ipotensione, vampate al volto e anche sincope. Decisamente più grave è l’assideramento, sindrome connessa all’abbassamento della temperatura del nucleo corporeo causata dall’esposizione prolungata al freddo e caratterizzata da progressiva depressione delle funzioni vitali. Si distinguono generalmente tre fasi:

1. FASE DI RESISTENZA

produzione di ACTH, TSH, catecolamine

vasocostrizione, brivido, cefalea, senso di fame, assunzione di posizione fetale

aumento di PA, HR, ventilazione polmonare, consumo di O2

aumentano diuresi e viscosità del sangue, diminuisce il volume plasmatico

2. FASE DI SCOMPENSO TERMICO

diminuzione progressiva della temperatura corporea

depressione dei centri termoregolatori e dell’attività cardiaca e respiratoria

astenia, apatia, sonnolenza, disorientamento, confusione mentale

quadro ematico di sindrome da consumo conseguente a CID

acidosi metabolica e respiratoria

3. FASE DI COMA

raffreddamento corporeo fino a 32 °C

progressiva depressione delle funzioni vegetative (ipotensione, bradicardia, bradipnea con superficialità del respiro)

polso aritmico per fibrillazione atriale

iporeflessia, coma, morte

Tra le patologie localizzate, viene descritta l’acrocianosi, dermatosi caratterizzata da aspetto cianotico-violaceo, ipotermia ed iperidrosi delle zone distali degli arti, cui si associano ipoestesie e parestesie delle zone interessate, prevalente nel sesso femminile. Alla base vi è una circolazione periferica torpida per spasmo arteriolare ed atonia venulo-capillare. Geloni ed eritema pernio sono invece manifestazioni localizzate alle estremità, causate dalla esposizione al freddo e che interessano soggetti predisposti (linfatismo, anemia, distonia neurovegetativa), prevalentemente di sesso femminile, alla cui base vi è un’alterata regolazione del tono e della permeabilità vascolare con edema localizzato. Nello specifico, il gelone acuto si manifesta con un gonfiore caldo, arrossato, ben delimitato, molto pruriginoso, nel contesto di cute iperidrosica, tesa, lucida, sul dorso delle dita delle mani e dei piedi, sui talloni, oppure ai padiglioni auricolari o al naso. L’eritema pernio interessa le zone distali delle gambe con formazione bilaterale e simmetrica di lesioni piccole, non dolenti, rotondeggianti, di color rosso opaco o violaceo, a volte con vescicole emorragiche centrali. Possono residuare esiti cicatriziali ed atrofia della cute e del tessuto sottocutaneo.

Il congelamento interessa prevalentemente le estremità (mani, piedi, orecchie, naso) ed è caratterizzato da una successione di fasi:

FASE “PREIPEREMICA”:

parestesie con ipoestesia locale, dolenzia, difficoltà nei movimenti con cute fredda, pallida, edematosa

FASE DI “CONGELATIO ERITEMATOSA” (1° grado)

aumento di parestesie, insensibilità e dolore con cute rosso-cianotica, tumefatta, screpolata

FASE DI “CONGELATIO BOLLOSA” (2° grado)

iperidrosi spiccata con vescicole e flittene emorragiche

FASE DI “CONGELATIO NECROTICA” (3° grado)

necrosi della cute che si estende progressivamente ai tessuti sottostanti fino alla gangrena, con febbre associata e stato tossico-stuporoso