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29 Ott

Sulla responsabilità datoriale per i rischi non previsti

La Cassazione, nel confermare integralmente una pronuncia della Corte d’appello di Trieste, ricollegava direttamente al legale rappresentante dell’impresa la responsabilità per un sinistro dovuto ad un rischio non gestito e valutato secondo l’art. 28 TUSL.

 

Al contempo, la distrazione del lavoratore infortunato non era ritenuta idonea a influire sul nesso causale e ad escludere la responsabilità penale dell’imputata.

 

Il caso deciso può essere descritto come segue. La persona offesa, operaio magazziniere, aveva il compito di caricare dei pannelli di legno destinati al taglio sul carrello portapezzi di una sega circolare squadratrice.

 

Il sinistro si verificava perché detto lavoratore appoggiava la mano sul binario del carrello del macchinario che, azionato dal collega esperto, che non si avvedeva della circostanza, “schiacciava il quinto dito della mano destra, determinando l’amputazione traumatica della falange ungueale” (sentenza, §1).

 

La condanna dell’amministratore in primo grado, confermata in appello, avveniva sulla base:

  • della constatata carenza di procedure per l’utilizzo congiunto della macchina da parte di più soggetti;
  • della omessa valutazione del rischio interferenziale;
  • della mancata formazione del lavoratore infortunato in ordine all’uso della macchina;
  • dell’insussistenza di deleghe aventi i requisiti prescritti dall’art. 16 TUSL.

Con un primo motivo, il ricorso formulato dall’imputata lamentava il comportamento abnorme del lavoratore magazziniere che, inesperto in quanto assunto da pochi mesi, che sarebbe stato “edotto delle sue mansioni e consapevole di non dover toccare la macchina” l’avrebbe comunque toccata. Per altro verso, rilevava come le funzioni datoriali fossero state delegate a “soggetti preposti a seguire il comparto sicurezza” (fatto, §1).

 

In ordine all’elemento soggettivo, il secondo motivo di ricorso ribadiva che il DVR sarebbe stato in costante aggiornamento “a dimostrazione dell’attenzione posta dall’azienda alla sicurezza sul lavoro” (fatto, §3).

 

Con il terzo motivo si contestava, tra l’altro, la scelta della pena detentiva in luogo della pecuniaria.

 

Nel giudicare il ricorso inammissibile, gli ermellini rilevavano anzitutto come la parte datoriale, nell’ambito della valutazione dei rischi alla stregua dell’art. 28 d.lgs. 81/2008, fosse tenuta ad “indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori” (diritto, § 3.1), cosa che non avveniva, in quanto non sarebbe stata predisposta “alcuna formazione dei lavoratori riguardante l’uso della sega circolare squadratrice”, men che meno dell’infortunato.

 

La Corte dava atto che al lavoratore fosse stato divieto di toccare il macchinario.

 

Tuttavia, la “condotta abnorme” del lavoratore avrebbe avuto portata interruttiva sul nesso causale tra la responsabilità datoriale e l’evento:

  • ove fosse “tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia”;
  • oppure fosse “stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro”;
  • o, infine, ove fosse rientrata tra le mansioni del lavoratore “ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione” (diritto, § 3.1).

 

Nessuna delle ipotesi ricorreva nel nostro caso, in quanto, più semplicemente, non era stata predisposta una procedura che l’operatore addetto al taglio avrebbe dovuto seguire per coordinarsi con la persona offesa, addetta al caricamento del carrello, in modo da escludere il rischio di provocarne lesioni, come purtroppo avvenuto.

 

Sul punto, la difesa aveva sostenuto che, essendo l’azienda in crescita, di una procedura “sarebbe stata ancora in corso una fase sperimentale” e ne sarebbe stata “inesigibile la formalizzazione”. Per contro, secondo la Suprema Corte, sarebbe stato proprio il profilo di rischio della lavorazione (probabilità e gravità del danno) a imporre “senza deroga alcuna, l’immediata previsione e valutazione nel DVR” (diritto, §2).

 

Circa la mancanza di una delega per la sicurezza, la Cassazione ribadiva la carenza dei puntuali requisiti di cui all’art. 16 TUSL (accettazione da parte del delegato, forma scritta, data certa, sussistenza requisiti professionali e di esperienza del delegato con attribuzione dei relativi poteri, anche di spesa, tempestiva ed adeguata pubblicità).

 

Peraltro, una devoluzione concernente “l’intera gestione aziendale” non sarebbe stata comunque valida. Attese tali considerazioni, la Corte riteneva probabilmente superfluo ricordare come l’attività di valutazione dei rischi aziendali rientrasse tra quelli non delegabili ex art. 17 d.lgs. 81/2008.

 

Circa il trattamento sanzionatorio, infine, era ritenuta giustificata l’irrogazione della pena detentiva (al minimo edittale, concesse le attenuanti generiche e i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna) sulla scorta della gravità degli addebiti mossi all’imputata.