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19 Dic

Quali sono i rischi per la salute degli addetti alla raccolta dei rifiuti?

Se il riciclaggio dei rifiuti rappresenta sempre più di più una svolta necessaria e può rappresentare anche risorsa economica, “non siamo ancora a conoscenza degli effetti collaterali che una scelta di questo tipo ha sui lavoratori”.

Partendo da questo assunto è partita l’iniziativa di verificare il nesso causale tra le attività, svolte dai dipendenti da alcune aziende impegnate nell’attività della pulizia urbana, e “le patologie che con una certa frequenza li affliggono”. In particolare lo studio è volto ad “evidenziare la prevalenza di alcune patologie su determinate mansioni svolte dagli operatori ecologici ed offrire degli spunti di approfondimento per un futuro ed auspicabile riconoscimento di malattie professionali”.

A ricordare in questi termini questo studio e a segnalare che successivamente sono stati condotti altre ricerche in merito, ad esempio da parte dell’Inail, è la Federazione italiana autonoma dipendenti enti locali ( FIADEL) che ha pubblicato uno “Studio comparato sull’attività porta a porta dell’operatore ecologico” che ha come obiettivo quello di confrontare i vari dati raccolti per rilevare eventuali conferme o spunti critici rispetto alla precedente indagine svolta.

L’analisi dei rischi per la raccolta dei rifiuti

Riprendiamo dallo studio patrocinato da FIADEL alcune brevi indicazioni che possono fare luce sui rischi per la salute e la sicurezza degli operatori ecologici.

 

Si indica che l’analisi dei rischi per gli addetti alla raccolta dei rifiuti “porta a rilevare molteplici situazioni di rischio potenziale”.

Riportiamo alcune “oggettive condizioni quali:

  • il lavoro sulla strada;
  • le interazioni con macchine e attrezzature;
  • gli investimenti
  • agenti biologici;
  • agenti chimici
  • lo stress e la fatica.

Ma sono poi gli agenti fisici ( movimentazione manuale dei carichi – MMC, vibrazioni, rumore) ad essere “di particolare interesse per il presente studio”. Infatti come confermato da dati INAIL “la maggior parte delle patologie denunciate nell’ambito del comparto della raccolta di rifiuti possono essere ricondotte alla MMC”.

 

E l’INAIL stessa rileva, in accordo con quanto già riscontrato “che i danni più comunemente appurati sono a carico del tratto dorso lombare della colonna vertebrale e dei muscoli annessi (mal di schiena, ernia del disco, artrosi), nonché delle articolazioni delle braccia o delle gambe”.

 

Ricordiamo che sono vari i fattori di rischio specifico da MMC: “carichi troppo pesanti, o difficili da afferrare o instabili e disomogenei o di contenuto tale da richiedere che la movimentazione avvenga in maniera non ottimale (per esempio, carico lontano dal corpo, per evitare il rischio di tagli con oggetti presenti all’interno, presa non sicura per il rischio di schegge)”.

Inoltre – continua lo studio – “occorre considerare il rischio connesso alla necessità di torsioni del busto o di movimenti a strappo (es.: lancio del sacco nel mezzo di raccolta, sollevamento in ambienti ristretti)”.

 

Inoltre “la movimentazione dei cassonetti nel caso di caricamento posteriore prevede azioni ripetute di trascinamento e spinta”.

 

 

I fattori peggiorativi e la movimentazione manuale dei carichi

Lo studio INAIL rileva inoltre come i “fattori peggiorativi consistono nella mancanza di:

  • attrezzature adeguate (sollevatori, ausili meccanici, sistemi di trasporto in grado di semplificare gli spostamenti, contenitori di volume ridotto o non troppo carichi, scivoli o pedane rialzate);
  • procedure di lavoro condivise;
  • turni di lavoro sostenibili e rotazione delle mansioni”.

 

Riprendiamo una tabella redatta dall’INAIL che riassume i rischi da MMC in funzione delle attività svolte.

 

 

Dalla tabella risulta che, “relativamente alla movimentazione manuale dei carichi, il rischio è sostanzialmente moderato”.

 

Tuttavia su questa indicazione gli estensori dello studio segnalano di non essere d’accordo e indicano. riguardo alla loro precedente ricerca, che la tabella “verosimilmente si ispira a concetti teorici che intendono pesi stabili, dell’ordine di pochi chilogrammi, ma che si discostano dalla realtà dove, come abbiamo foto-documentato, i pesi sono mediamente superiori a quelli ideali e le posture non possono essere quelle ottimali”. E molto più vicino alla realtà è “valutare il rischio variabile da significativo ad elevato”.

 

Fattori di rischio, sistemi di prevenzione e scelte organizzative

Nel documento si indica che i principali fattori di rischio “vanno individuati nella postura, nella forza e nella ripetitività dei movimenti, ai quali si aggiungono fattori complementari quali l’uso di strumenti e attrezzature non adatti, l’uso di DPI non adatti, le basse temperature, i carichi disomogenei ecc”. E gli effetti dannosi “sono principalmente rappresentati da, mal di schiena, ernia del disco, artrosi, patologie a carico di articolazioni”.

Inoltre le azioni critiche si individuano, ad esempio, nel traino, nella spinta, nel sollevamento, nel trasporto, nella flessione, nella raccolta ingombranti, nello spazzamento ( attività ripetitiva), nella movimentazione cassonetti, nella movimentazione sacchi, …

 

Si segnala poi che i sistemi di prevenzione da adottare “sono rappresentati da una maggior automazione della raccolta e dello spazzamento, dall’adozione di mezzi a caricamento ribassato per piccoli contenitori di rifiuti (sacchi e cestoni)”. E sono idonee anche le “attrezzature di facile presa (grip ottimale) e con curvature ergonomiche che permettano di fare leva con tutte le braccia e non solo col polso”.

 

Rimandiamo alla lettura integrale del documento che riporta poi ulteriori indicazioni sui fattori di rischio delle patologie a carico del sistema muscoloscheletrico riconducibili al lavoro, sui riferimenti normativi e su vari altri aspetti correlati a postura, forza e ripetitività.

 

Il documento ricorda poi che l’indagine INAIL, indicata a inizio articolo, ha inoltre rilevato che “le situazioni di rischio individuate sono spesso associate a scelte organizzative non fondate su una solida progettazione del servizio, le cui conseguenze si rispecchiano in carenze nella pianificazione delle attività, spesso svolte in condizioni di emergenza”.

 

Ed infatti “le condizioni di esercizio, le carenze di manutenzione di macchine e mezzi, le interferenze con il traffico veicolare e con gli utenti costituiscono spesso fattori amplificanti dei rischi e talora sinergici e, al contempo, sintomi delle criticità da risolvere e della mancanza di consapevolezza, da parte di aziende, Istituzioni e degli stessi cittadini, dell’importanza delle attività di igiene urbana”.

 

In definitiva – conclude il documento – il mantenimento dell’igiene urbana “costituisce attività di pubblico interesse da svolgersi senza pericolo per la salute dell’uomo, senza usare procedimenti o metodi dannosi per l’ambiente, secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità e trasparenza”. Tuttavia “la mancanza di comprensione di questi criteri da parte di tutti i soggetti coinvolti provoca situazioni dannose non solo per l’ambiente ma anche per i lavoratori addetti, ossia coloro i quali possono subire per primi gli effetti negativi di un’errata gestione del servizio”.