COVID-19: la vigilanza sulla applicazione dei protocolli anticontagio
a diffusione dell’emergenza COVID-19 e del virus SARS-CoV-2 nel 2020 ha portato a diverse modifiche nella programmazione, anche in materia di vigilanza, delle attività dei Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL). E questo “non solo perché le misure adottate da Governo e Regioni per il contrasto all’epidemia hanno riguardato i luoghi di lavoro oltre che i luoghi di vita, ma anche perché il personale dei vari servizi (tra cui SPSAL) dei Dipartimenti di Sanità Pubblica ha supportato le attività istituzionali necessarie al contenimento e alla gestione dell’emergenza sanitaria”.
A ricordarlo e a fornire un primo quadro dei risultati della vigilanza sulla applicazione dei protocolli anticontagio nei luoghi di lavoro è un interessante intervento presente nella pubblicazione “ dBA2020 – La gestione del microclima nei luoghi di lavoro in presenza di una emergenza epidemica” che contiene gli atti, curati da Silvia Goldoni e Angelo Tirabasso, dell’omonimo convegno che si è tenuto online il 3 dicembre 2020 durante la manifestazione Ambiente Lavoro ed è stato organizzato da Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena con vari patrocini e collaborazioni.
Le attività di vigilanza nel 2020 e l’emergenza COVID-19
L’intervento “Esperienze di vigilanza nei luoghi di lavoro in periodo di emergenza epidemica” ribadisce che la normale vigilanza programmata è stata rimodulata, per l’anno 2020, in seguito alla “emanazione dei diversi interventi normativi, nazionali e regionali, unanimemente tesi a limitare le occasioni di contagio tra persone, attraverso la regolamentazione dei comportamenti sociali e la emissione di indicazioni anche per le attività produttive”. E l’intervento descrive, in questo senso, l’esperienza condotta dallo SPSAL di Modena “in relazione all’attività di vigilanza effettuata nei luoghi di lavoro nel corso del 2020, in periodo di emergenza sanitaria”.
In particolare durante il lockdown “gli operatori del Servizio PSAL di Modena hanno ridotto e limitato l’attività di vigilanza nei luoghi di lavoro, secondo le modalità indicate dalla Regione Emilia Romagna, già descritte nel precedente paragrafo; al contempo hanno svolto attività di supporto e assistenza, per via telefonica l telematica, nei confronti dei soggetti della prevenzione (datori di lavoro, RSPP, RLS, medici competenti, lavoratori) in merito a vari quesiti sull’epidemia”. Successivamente, a partire dal 4 maggio 2020, “con la riapertura delle attività produttive industriali e commerciali, è ripresa l’attività di vigilanza ‘consueta’ dello SPSAL, a cui si è affiancata, su richiesta della Prefettura, una specifica attività di vigilanza relativa alla corretta attuazione dei Protocolli anti-contagio nei luoghi di lavoro”.
In particolare tale attività di vigilanza ha riguardato la “corretta applicazione delle misure di contenimento del contagio, per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali, contenute:
– nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali;
– nel protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali;
– nel protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica, sottoscritto il 20 marzo 2020”.
Si segnala poi che, oltre a quelli elencati, di valenza nazionale, “la Regione Emilia Romagna ha adottato altri protocolli di sicurezza che contengono linee guida e indicazioni operative per salvaguardare la salute di operatori economici, lavoratrici e lavoratori, clienti e persone in vari ambiti lavorativi (commercio, agenzie di servizi, servizi di somministrazione di alimenti e bevande, servizi alla persona, strutture ricettive, …).
Riguardo all’attuazione degli interventi di vigilanza in materia di applicazione dei protocolli anti-contagio, l’intervento riporta le principali criticità che hanno riguardato:
- il ruolo degli operatori SPSAL
- la vigilanza congiunta con altri Enti
- l’applicazione della disciplina sanzionatoria
- l’individuazione di utili ed efficaci strumenti di vigilanza.
La vigilanza sull’applicazione dei protocolli anticontagio nei luoghi di lavoro
Rimandando alla lettura integrale delle criticità emerse nelle attività di vigilanza, veniamo invece ad un breve resoconto parziale degli esiti della vigilanza sulla applicazione dei protocolli anticontagio nei luoghi di lavoro.
Si indica che complessivamente “in Provincia di Modena sono stati eseguiti 348 accessi ispettivi (dato aggiornato al 10/11/2020) per un totale di 374 ragioni sociali controllate e di 18423 lavoratori controllati. Sul totale, sono stati eseguiti 79 accessi congiunti, di cui 55 con Ispettorato Territoriale del Lavoro, 7 con i Vigili del Fuoco, 17 con il Servizio Igiene Pubblica (controlli nelle scuole)”.
Entrando poi nel merito della attuazione delle misure previste dai protocolli, “l’esperienza di vigilanza condotta in provincia di Modena evidenzia quanto segue:
- Creazione del Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo: “le aziende di maggiori dimensioni e dotate di una struttura organizzativa articolata hanno di norma provveduto alla formalizzazione del comitato, con il coinvolgimento dei soggetti indicati dai Protocolli. Questa osservazione vale anche per l’edilizia, infatti in presenza di aziende affidatarie strutturate e ben organizzate è stato possibile accertare l’avvenuta formalizzazione del Comitato di monitoraggio di cantiere, al contrario in presenza di imprese affidatarie scarsamente organizzate e/o di piccole dimensioni non è stato possibile accertare l’avvenuta costituzione del comitato.
- Procedura per l’attuazione delle misure previste dal Protocollo per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus: di norma nei luoghi di lavoro, cantieri inclusi, è stata accertata la presenza di una Procedura con le misure di contenimento; nei casi in cui risultava istituito il Comitato, la Procedura era condivisa e redatta dal Comitato stesso, ‘personalizzata’ e adeguata al luogo di lavoro cui si riferiva; in altri casi invece la Procedura non era altro che la trasposizione tal quale del Protocollo.
- Informazione di lavoratori, fornitori, clienti, addetti di imprese di pulizia o manutenzione: dagli accertamenti è emerso che tali soggetti sono stati informati in merito alle misure igieniche e comportamentali e alle misure per il contenimento del contagio con modalità diverse, tra le quali: locandine e/o brochure affisse in bacheca in luoghi come ingresso, zone ristoro, spogliatoi, comunicazioni inviate con mail, comunicazioni telefoniche”.
- Misurazione della temperatura corporea in entrata e conseguente tutela della privacy: al di là dell’obbligatorietà o facoltatività dell’applicazione di tale misura “l’esperienza di vigilanza ha evidenziato che in aziende strutturate e ben organizzate tale accertamento viene attuato, anche con l’ausilio di termo scanner, per lavoratori e visitatori esterni (organo di vigilanza incluso). Al contrario nei cantieri la misura della temperatura corporea è stata attuata con maggiori difficoltà da parte delle aziende, che hanno adottato soluzioni diverse, tra le quali: autocertificazione del lavoratore che dichiara di averla provata autonomamente a domicilio prima di recarsi al lavoro, misura della temperatura corporea presso la sede della ditta prima di recarsi in cantiere, misura della temperatura corporea direttamente in cantiere. La vigilanza ha evidenziato inoltre che risulta difficoltoso il controllo della temperatura nel caso di lavoratori di ditte in sub-appalto”.
- Rispetto delle distanze interpersonali di almeno 1 metro: “di norma tale misura è stata attuata, anche grazie al ricorso a smart working, diversa articolazione dell’orario di lavoro, organizzazione di accessi contingentati a spogliatoi, mense, zone ristoro, ecc.; criticità in tal senso sono state riscontrate in alcuni settori, tra cui quello della lavorazione carni.
- Dispositivi di protezione individuale: di norma disponibili, adeguati ed utilizzati. In particolare è stato possibile accertare il corretto uso di mascherina chirurgica per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni. Maggiori criticità sono state riscontrate nel caso di lavoratori del settore edile, sia per aspetti legati al microclima e al lavoro all’aperto nel periodo estivo, sia per le cattive modalità di ‘custodia’ del DPI (in tasca, in auto, in baracca) da parte del lavoratore stesso. Per contro in molte situazioni in cantiere il DPI poteva essere evitato in quanto si era all’aperto e la distanza tra i lavoratori era superiore ad 1 m.
- Smaltimento dei DPI in appositi contenitori: di norma correttamente smaltiti nella raccolta differenziata con contenitori dedicati.
- Idoneità dei locali destinati a spogliatoi, area mensa, zone ristoro, zone fumatori. Questi aspetti sono stati valutati laddove presenti. Anche per questa specifica misura occorre osservare che le maggiori criticità sono state riscontrate nel settore edile: il cantiere non è di per sé un ambiente di lavoro ‘pulito’, tuttavia la vigilanza ha evidenziato che il livello di pulizia degli spazi comuni non si è adeguato sufficientemente ai protocolli. Ad esempio in diversi casi è stato riscontrato il mancato rispetto della periodicità della pulizia giornaliera delle baracche, spesso utilizzate come ‘spogliatoio’ o come zona dove consumare il pasto.
- Modifiche del lay-out degli spazi di lavoro e/o degli orari di lavoro: tale misura è stata attuata nelle aziende di grandi dimensioni, attraverso il ricorso a smart working; individuazione di accessi suddivisi in più punti e distribuiti su orari più lunghi, onde evitare assembramenti.
- Disponibilità di dispenser di gel idroalcolici per l’igiene delle mani: tale misura, peraltro molto semplice da attuare, è stata riscontrata nella totalità dei casi; anche in questo caso è da segnalare qualche difficoltà in più nei cantieri, dove spesso i singoli lavoratori risultavano dotati di un proprio gel conservato in automobile, mentre nella migliore delle ipotesi era disponibile un solo dispenser in baracca per tutti.
- Servizi igienici dotati di sapone liquido per le mani e carta a perdere per l’asciugatura, pulizia giornaliera e sanificazione periodica dei locali: tali misure igieniche sono risultate di norma applicate nelle aziende, che in molti casi sono state in grado di darne evidenza grazie a sistemi di registrazione istituiti appositamente. Si osserva ancora una volta che le maggiori criticità sono state riscontrate nel settore edile: molto spesso nel cantiere oggetto di vigilanza è stata accertata la presenza di un solo servizio igienico, il cui livello di pulizia è risultato inadeguato e di norma non è stata rispettata la periodicità giornaliera.
- Gestione del lavoratore che sviluppi sul lavoro febbre e/o sintomi di infezione respiratoria, gestione del lavoratore prima del reintegro in azienda in caso di infezione COVID, obbligo di eseguire una visita medica in caso di assenza per infezione COVID che abbia reso necessaria ospedalizzazione prima del rientro al lavoro: questi aspetti sono di norma contenuti nella Procedura per l’attuazione delle misure previste dal Protocollo per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus”.
La gestione degli impianti di climatizzazione e le considerazioni finali
L’intervento ricorda poi che i protocolli nazionali condivisi relativi agli ambienti di lavoro, ai cantieri e al settore trasporti/logistica “non trattano esplicitamente gli aspetti relativi alla gestione degli impianti di climatizzazione né all’utilizzo di sistemi di igienizzazione basati su lampade UV”.
Tuttavia – continua la relatrice – nel corso della vigilanza, “oltre agli aspetti specifici del protocollo di cui si è parlato nel paragrafo precedente, è stata prestata attenzione alla corretta gestione degli impianti di climatizzazione, in particolare in settori produttivi largamente diffusi in provincia di Modena, quali la lavorazione carni ed il biomedicale, e comunque in tutti i luoghi di lavoro dove era presente tale tipologia di impianti. Inoltre è stata accertata la presenza, in alcuni luoghi di lavoro oggetto di vigilanza, di sistemi costituiti da lampade UV destinati a igienizzare/sanificare l’aria ambiente, installati appositamente per contrastare il contagio da Sars-CoV-2”.
In particolare in relazione agli impianti di ventilazione/climatizzazione nei luoghi di lavoro e alla possibilità di infezione, in fase di assistenza e di vigilanza si è prestata attenzione ai seguenti aspetti:
- riduzione del livello di occupazione degli ambienti, in modo da ridurre l’eventuale possibile contaminazione aerea, attraverso misure organizzative
- aerazione frequente degli ambienti non dotati di ventilazione meccanica attraverso apertura delle finestre
- aerazione degli ambienti dotati di impianti di ventilazione che forniscono aria di rinnovo, tenendoli sempre accesi (24 ore su 24, 7 giorni su 7), facendoli funzionare alla velocità nominale o massima consentita dall’impianto per rimuovere le particelle sospese nell’aria e contenere la deposizione sulle superfici; nel caso di ambienti con ventilazione meccanica e filtrazione dell’aria, la diluizione con aria esterna e la presenza di filtri ad elevata efficienza riduce la presenza di particolato e di bio-aerosol, contribuendo in tale maniera alla riduzione dei rischi di contagio
- se le condizioni impiantistiche ed energetiche lo consento, evitare il ricircolo di aria
- evitare sempre che l’aria immessa sia contaminata da quella estratta o espulsa dagli ambienti
- adottare interventi di igienizzazione straordinaria degli impianti e delle condotte aerauliche”.
Il riscontro che è emerso – riguardo a questo tema – è che “la gestione degli impianti di climatizzazione/ventilazione nei luoghi di lavoro è stata affrontata di norma in modo adeguato da parte dei Datori di Lavoro, che hanno dimostrato consapevolezza sul fatto che tali installazioni possano essere veicolo di contagio, da un lato, ma anche strumenti di mitigazione del contagio stesso, se usati correttamente, dall’altro”.
In definitiva per le esperienze di vigilanza condotte dallo SPSAL di Modena sono riportate dalla relatrice alcune considerazioni.
Si indica che il contagio da Sars-CoV-2 nei luoghi di lavoro “rappresenta un rischio biologico ‘generico’, in quanto esistente anche per la popolazione al di fuori del contesto lavorativo, ovvero un rischio biologico ‘specifico’ per i lavoratori di determinati comparti, tra i quali quello sanitario e socio-sanitario: in tutti i casi tale rischio giustifica l’attività di vigilanza, anche proattiva, da parte degli SPSAL, a tutela della salute dei lavoratori”.
Si ritiene poi utile “integrare l’attività di vigilanza a livello dipartimentale, in particolare con il Servizio Igiene degli Alimenti e Nutrizione per ristoranti e bar, il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica per altri luoghi di vita, il Servizio Veterinario per comparti specifici quali, ad esempio, la lavorazione carni. Considerato che il periodo di emergenza persisterà, si rendono necessari adattamento e flessibilità nella gestione dei Servizi PSAL per un giusto equilibrio tra attività specifica del servizio e supporto al Dipartimento di Sanità Pubblica”.
Infine le criticità che sono emerse nello svolgimento dell’attività di vigilanza sulla applicazione dei Protocolli anti-contagio nei luoghi di lavoro “dovranno essere superate nell’ottica di garantire interventi efficaci, in riferimento soprattutto a strumenti di vigilanza e alla composizione dei gruppi di ispettori”. E si ritiene “indispensabile garantire assistenza ed informazione a datori di lavoro, agli RSPP, agli RLS, ai medici competenti, in quanto strumenti complementari alla vigilanza nel perseguire la prevenzione nei luoghi di lavoro”.