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22 Feb

L’obbligo della nomina del coordinatore per la sicurezza nei cantieri

In questa sentenza della Corte di Cassazione vengono richiamate le condizioni in presenza delle quali il committente di un’opera edile ha l’obbligo nei cantieri temporanei o mobili di nominare il coordinatore per la sicurezza, condizioni sulle quali, a distanza di 25 anni circa dall’introduzione in Italia delle specifiche direttive europee, avvenuta con il D. Lgs. n. 494/1996, qualcuno esprime ancora delle perplessità. Più specificatamente sono quelle contenute nei commi 3 e 4 dell’art. 90 del vigente D. Lgs. n. 81/2008 con il quale il legislatore ha subordinato tale obbligo alla presenza in cantiere di più imprese esecutrici. Le perplessità che sorgono ancora in alcuni sono riferite alla contemporaneità o meno della presenza in cantiere di tali imprese e sono legate al fatto che il termine stesso di “coordinamento” e il concetto di rischio interferenziale richiamano la simultaneità dell’attività delle imprese stesse.

 

Opportunamente quindi, la suprema Corte in questa sentenza, ma lo fa periodicamente, ha precisato che in tema di infortuni sul lavoro l’obbligo per il committente di nominare il coordinatore per la sicurezza sorge già nella sola previsione che nel cantiere devono operare più imprese anche non contemporaneamente e non alla successiva verifica che si realizzi tale situazione. Nel caso in esame, in particolare, la Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso presentato da un committente di alcune opere di ristrutturazione di un edificio nel corso delle quali era accaduto un infortunio mortale di un lavoratore della ditta affidataria caduto da un ponteggio non protetto, ha evidenziato come la necessità di ricorrere a più imprese esecutrici era già emersa nel contratto stipulato fra il committente e la ditta appaltatrice essendo stato previsto in esso l’intervento di una ulteriore impresa esecutrice.

Il fatto, la condanna e il ricorso per cassazione.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia e alle connesse statuizioni civili, concesse attenuanti generiche equivalenti, il datore di lavoro di un’impresa e il committente di un’opera edile per il delitto p. e p. dall’art. 589, commi 1 e 2 (omicidio colposo, in cooperazione colposa fra loro) in danno di un lavoratore, dipendente di una ditta appaltatrice, commesso con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Il lavoratore, secondo quanto emerso dagli atti disponibili, stava fissando dei fogli di cellophane sulle finestre posizionate al terzo piano di un fabbricato in corso di ristrutturazione e, a tal fine, si portava su una porzione di impalcatura presente all’esterno del fabbricato, sprovvista di parapetto. Nel corso dell’operazione il lavoratore perdeva l’equilibrio e cadeva su un balcone posizionato due piani più sotto, procurandosi lesioni che lo portavano alla morte.

 

Mentre al datore di lavoro il delitto era stato contestato per avere omesso di adottare adeguate misure di protezione e prevenzione dei rischi, il rimprovero mosso al committente invece era stato di non avere nominato un coordinatore per l’esecuzione dei lavori prima dell’affidamento degli stessi, condotta omissiva alla quale, secondo l’assunto accusatorio recepito dai giudici di merito, era stata eziologicamente collegata la condizione di insicurezza nella quale il lavoratore stesso operava allorché si era verificato l’infortunio mortale. La Corte di merito, nel confermare la sentenza di condanna a carico del committente aveva ravvisato in capo al medesimo la sussistenza della posizione di garanzia e dei correlativi obblighi di sicurezza nei confronti del lavoratore, escludendo che il comportamento tenuto da quest’ultimo nell’occorso potesse qualificarsi come abnorme.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello il committente ha fatto ricorso alla Cassazione evidenziando soprattutto che nel contratto di appalto non vi era traccia della possibile presenza di una pluralità di ditte sul cantiere, tanto più che proprio l’operazione in corso al momento della caduta del lavoratore, consistenti nell’apposizione di coperture in cellophane sulle finestre, implicava che non fosse imminente l’apposizione degli infissi. Di conseguenza, secondo il ricorrente, non gli si poteva richiedere di nominare un coordinatore per l’esecuzione dei lavori, trattandosi di cantiere sotto soglia per cui era esonerato dagli obblighi di cui all’art. 3, comma 8, dell’allora vigente D. Lgs. 494/1996 né era dato sapere di quali deficienze nell’apparato antinfortunistico del cantiere egli potesse avere percezione, essendo estraneo alla gestione dei lavori demandata alla ditta appaltatrice. Il ricorrente ha negato, altresì, che la porzione di ponteggio rimasta installata al momento dell’infortunio dalla quale era caduto il lavoratore fosse inidonea dal punto di vista prevenzionistico, sia perché essa non aveva funzione di sicurezza, sia perché essa era rimasta installata verosimilmente per l’esecuzione di lavori ai piani inferiori, atteso che al terzo piano non vi era neppure il piano di calpestio.

 

Come altra motivazione il ricorrente si è lamentato che i giudici di merito non avevano tenuto conto di alcuni elementi probatori quali la presenza di vento forte, l’eccesso di affidamento della vittima, cinquantaseienne, sulle proprie capacità e l’assenza di accertamenti sulle bevande da lui ingerite prima dell’incidente.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. In merito alla mancata nomina del coordinatore da parte del committente la suprema Corte  ha preliminarmente chiarito che l’infortunio in esame era avvenuto in un cantiere che non poteva qualificarsi come sotto soglia, con la conseguente sussistenza dell’obbligo, in capo al committente, di nominare il coordinatore per l’esecuzione dei lavori.

 

In merito inoltre la Sezione IV ha richiamato il principio, a più riprese ribadito dalla Corte di legittimità, secondo il quale, “in tema di infortuni sul lavoro, l’obbligo per il committente di nominare il coordinatore per la sicurezza, di cui all’art. 90,  d.lgs. 09 aprile 2008, n. 81, è connesso già solo alla previsione che più imprese lavorino nello stesso cantiere, anche non in contemporanea, e non alla verifica successiva di tale situazione” e ha citato altresì a proposito come precedente la sentenza n. 4644 del 11/12/2018 della IV Sezione penale della Corte di Cassazione nella quale era stata riconosciuta la responsabilità di un committente per omicidio colposo di un dipendente di una ditta subappaltatrice e di un lavoratore autonomo, caduti dal piano di copertura di un capannone di proprietà del committente, stesso essendo la possibilità di ricorrere al subappalto prevista in contratto.

 

Già dalla lettura della stessa sentenza impugnata, ha aggiunto la suprema Corte, era emerso come all’imputato fosse noto che che sul cantiere avrebbero operato anche altre ditte oltre a quella alle cui dipendenze lavorava l’infortunato, quanto meno per la prevista, sia pure non imminente, installazione degli infissi. Era inoltre risultato chiaro che il lavoratore era caduto da una porzione residua di un ponteggio precedentemente installato dal titolare di un altro subappalto nello stesso cantiere e che il committente aveva nominato un coordinatore per la sicurezza in relazione a una precedente concessione edilizia scaduta e aveva successivamente omesso di nominare il coordinatore, provvedendovi soltanto dopo l’evento mortale, su prescrizione degli ispettori del lavoro. Né si può trascurare che la nomina di un coordinatore per l’esecuzione dei lavori, in base all’allora vigente  D. Lgs. 494/1996, non dissimilmente da quanto previsto dalla normativa oggi in vigore, aveva lo scopo di verificare anche l’idoneità dei ponteggi sotto il profilo della sicurezza dei lavori in quota, con la conseguente configurabilità della causalità della colpa in capo al ricorrente.

 

In merito al comportamento del lavoratore infortunato, inoltre, la suprema Corte ha così concluso richiamando il il principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (cosiddetta sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia; ed è di tutta evidenza che nel caso in esame nell’ambito di tale sfera di rischio rientrava anche l’utilizzo di un ponteggio manifestamente inidoneo da parte di un soggetto che, come la vittima, espletava di fatto mansioni di vario genere nell’ambito del cantiere.

 

Alla declaratoria d’inammissibilità, in conclusione, è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili liquidate in 4.500 euro complessivi oltre agli accessori di legge.