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25 Ago

COVID-19: quali modifiche fare per il rientro dei lavoratori guariti?

In relazione alle conseguenze del virus SARS-CoV-2, i malesseri correlati specialmente ai sintomi della cosiddetta malattia COVID lunga (sintomi persistenti dopo quattro settimane) possono essere preoccupanti per il lavoratore al suo rientro al lavoro. Tuttavia non devono esserlo perché i dirigenti aziendali possono e devono prestare sostegno a questi lavoratori.

Il loro ruolo fondamentale nell’aiutare il lavoratore a tornare al lavoro dipende dal fatto che spesso il dirigente è:

  • “il primo punto di contatto per il lavoratore;
  • nella posizione migliore per aiutare il lavoratore a sentirsi apprezzato e a mantenere un sentimento di identità quando non è al meglio delle proprie condizioni;
  • in grado di introdurre modifiche o adeguamenti del luogo di lavoro per consentire al lavoratore di gestire il proprio lavoro e la propria salute al rientro”.

 

A sottolineare l’importanza del ruolo dei dirigenti nel rientro al lavoro è una guida dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ( EU-OSHA) dal titolo “Infezione da COVID-19 e COVID lunga ─ guida per i dirigenti. Sostegno al rientro dei lavoratori: punti salienti”. Una guida che, in parallelo con un analoga pubblicazione rivolta ai lavoratori, affronta diversi aspetti e offre diverse indicazioni e suggerimenti per gestire al meglio il rientro dei lavoratori dopo il COVID-19.

 

Dopo aver già presentato le cinque fasi da gestire nel rientro al lavoro, oggi affrontiamo i seguenti articoli:

  • Ruolo del dirigente: indicazioni sul colloquio di rientro
  • Ambienti di lavoro: modifiche e adeguamenti organizzativi
  • Elementi di un piano di ripresa e riabilitazione
  • Ruolo del dirigente: indicazioni sul colloquio di rientro

    Ricordiamo che la guida propone precisi consigli rivolti al dirigente in relazione alle già citate cinque fasi:

    • Fase 1: rimanete in contatto con il lavoratore mentre è assente dal lavoro.
    • Fase 2: preparate il ritorno del lavoratore.
    • Fase 3: programmate un colloquio di rientro al lavoro.
    • Fase 4: prestate il vostro sostegno nei primi giorni successivi al rientro al lavoro.
    • Fase 5: prestate un sostegno costante e riesaminate la situazione periodicamente.

     

    Dopo aver già presentato la Fase 5, ci soffermiamo oggi sulla Fase 3 relativa al colloquio di rientro al lavoro.

    Queste le indicazioni:

    • “Prima del colloquio riflettete su quali modifiche del lavoro e delle mansioni rappresentano opzioni praticabili e chiedete al lavoratore di fare altrettanto. Fate in modo che il lavoratore giunga alla riunione disposto a discutere in che modo la sua patologia potrebbe influire sul suo lavoro, quali mansioni si sente in grado di svolgere e, altro aspetto importante, quali modifiche lo aiuteranno a svolgere il lavoro integralmente o in parte. Ricordategli di chiedere consiglio al proprio medico su ciò che dovrebbe e non dovrebbe fare e coinvolgete i servizi o i medici esperti di medicina del lavoro. Può essere utile coinvolgere le risorse umane, i partner, il supervisore del lavoratore o i rappresentanti dei lavoratori.
    • Il superiore gerarchico e il dipendente potrebbero elencare le esigenze lavorative rientranti nelle categorie indicate di seguito, fornire una percentuale stimata di ogni giorno da esse occupato (prima dell’assenza per malattia) e stabilire se il dipendente ritiene che costituiranno un problema al rientro al lavoro:
      • cognitive — trattamento di dati complessi, inserimento di dati che richiede un’intensa concentrazione, passaggio rapido da una mansione all’altra, utilizzo di sistemi multipli, processo decisionale complesso, processo decisionale rapido e ad alto rischio, gestione di molteplici parti interessate o relazioni;
      • fisiche — movimenti ripetitivi, posture statiche, spostamento occasionale di oggetti poco maneggevoli o pesanti;
      • emotive — trattare con persone/bambini vulnerabili o clienti in difficoltà, possibilità di aggressione o violenza, necessità di essere emotivamente flessibili e resilienti”.
    • Durante il colloquio dedicate del tempo a qualche domanda di routine e a mettere il lavoratore a suo agio; chiedete come si sente e se c’è qualcosa che lo preoccupa ed esaminate possibili soluzioni. Parlate delle possibili modifiche del lavoro, delle priorità e del calendario per le prime settimane del rientro; chiedete al lavoratore di esporre le proprie idee. Spiegate che controllerete ed esaminerete l’evoluzione della situazione. Discutete di come si svolgeranno il primo giorno e la prima settimana di lavoro. Concordate un piano di rientro al lavoro confacente alle esigenze di entrambi. Il piano deve essere praticabile; fate quindi in modo di stabilire i compiti di ciascuno e i tempi in cui svolgerli. Deve inoltre essere flessibile perché, fino a quando non lo metterete in pratica, non sarete a conoscenza di ciò che va bene per entrambi. Comunicate il piano ai servizi o ai medici esperti di medicina del lavoro e valutate la possibilità di informare le risorse umane o i colleghi del lavoratore.
    • Evitate adeguamenti non richiesti.

     

    Ambienti di lavoro: modifiche e adeguamenti organizzativi

    Il documento presenta poi alcuni esempi di modifiche o adeguamenti per consentire al lavoratore di gestire il proprio lavoro e la propria salute al rientro dal COVID-19.

     

    Si indica che “sono molti i piccoli cambiamenti o le possibili modifiche che possono facilitare ai lavoratori che rientrano la gestione della salute e del lavoro. Per gli operatori della medicina del lavoro i migliori risultati si ottengono quando i dirigenti e i lavoratori trovano una soluzione insieme”.

    È necessario essere flessibili evitando di imporre adeguamenti: “l’elemento chiave è disporre di un piano stabilito di comune accordo”.

     

    Ad esempio a seconda della durata e degli effetti dei sintomi post COVID, “le persone potrebbero aver bisogno di tornare al lavoro progressivamente (il cosiddetto ‘rientro graduale’). È improbabile che un rientro graduale standard e breve sia adatto per la COVID lunga. I rientri graduali possono essere adattati nel corso del tempo, talvolta nel corso di varie settimane o addirittura mesi”.

     

    In particolare per i lavoratori con sintomi di affaticamento “sono importanti il lavoro a distanza e un ritmo tranquillo (vale a dire lavorare con pause di riposo determinate dai sintomi). Alcuni lavoratori potrebbero essere in grado di continuare con l’orario completo; per altri, una riduzione pianificata dell’orario di lavoro potrebbe essere più efficace”.

    Si segnala che a volte i lavoratori con COVID lunga “possono avere ricadute”, se si sforzano eccessivamente, che “potrebbero manifestarsi con un ritardo di diversi giorni. Dovrete lasciarvi guidare dal lavoratore (nella consapevolezza del fatto che anche il lavoratore sta ancora apprendendo a convivere con i propri sintomi e a gestirli)”.

     

    Elementi di un piano di ripresa e riabilitazione

    La guida sottolinea poi che le modifiche “dovrebbero essere adattate a ciascun individuo e dipenderanno dai sintomi e dai limiti specifici di ognuno, dal modo in cui questi incidono sulla capacità di svolgere le attività e sul ruolo professionale”.

     

    In questo senso sono necessari piani individualizzati di ripresa e riabilitazione.

     

    Vengono proposti alcuni elementi che “possono sembrare ovvi, ma è utile formalizzarli per garantire che si realizzino:

    • modificare i tempi di lavoro (inizio, fine e pause);
    • modificare le ore lavorate, ad esempio giornate più brevi, giornate di riposo tra giorni lavorativi;
    • modificare il lavoro a turni, ad esempio valutare la possibilità di sospendere i turni di lavoro serali o mattutini e/o il turno notturno, in modo che la persona lavori nelle ore in cui si sente meglio;
    • modificare l’organizzazione del lavoro, ad esempio con ritmi tranquilli, pause regolari e/o aggiuntive;
    • modificare il carico di lavoro, ad esempio: fissare un numero di compiti inferiore a quello normale in un determinato lasso di tempo; concedere più tempo per svolgere i compiti abituali ed evitare di imporre scadenze di lavoro ravvicinate;
    • modificare temporaneamente le funzioni o i compiti («funzioni modificate»);
    • prestare sostegno, ad esempio: una chiara linea di aiuto: qualcuno a cui chiedere o con cui confrontarsi; un sistema di sostegno «amichevole»; congedi per le visite mediche; lavoro in compagnia di altri colleghi;
    • definire obiettivi chiari e meccanismi di revisione;
    • concedere il lavoro da casa a tempo parziale, ove possibile;
    • effettuare verifiche regolari per controllare la variabilità dei sintomi”.

     

    Si ricorda, infine, che se si ritiene che la patologia possa essere considerata una disabilità, “il datore di lavoro può avere l’obbligo giuridico supplementare di effettuare adeguamenti ragionevoli”. In questo caso si indica di chiedere consiglio “al servizio di medicina del lavoro e alle risorse umane”.