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02 Nov

Sulla non punibilità del datore di lavoro per la mancata vigilanza

La legale rappresentante e il preposto di una impresa edile sono stati condannati dal Tribunale perchè ritenuti colpevoli la prima, quale datore di lavoro, per non avere vigilato sui lavoratori affinché utilizzassero i dispositivi di protezione personale per evitare il rischio di caduta dall’alto durante l’effettuazione di alcuni lavori in quota in violazione degli artt. 18, comma 1, lett. f) e 122, comma 1 del D. Lgs n. 81/2008 e il secondo per non avere vigilato sull’osservanza degli obblighi di sicurezza da parte dei singoli lavoratori, nonché sul rispetto delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in violazione dell’art. 19 lett. a) dello stesso D. Lgs. n. 81/2008.

 

La legale rappresentante ha presentato ricorso nel quale ha evidenziato di avere provveduto a nominare un preposto, presente in cantiere, e di essere stata condannata in forza solo della carica ricoperta; la suprema Corte, nel ritenere fondato il ricorso, ha annullata la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti senza rinvio per essere nel frattempo intervenuta la prescrizione del reato. La Cassazione ha sottolineato, infatti, che la ricorrente era stata condannata dalla Corte territoriale per non avere richiesto l’osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro, senza che la stessa Corte avesse fatto alcun accenno alla figura ed al ruolo del preposto, presente in cantiere, alla cui nomina la legale rappresentante aveva provveduto e sul quale gravavano i medesimi obblighi, ai sensi dell’art. 19 lett. a) del  D. Lgs. n. 81/2008.

 

In sostanza quindi la suprema Corte, nel prendere le sue decisioni, ha fornito un utile indirizzo per gli organi di vigilanza e cioè che non è contravvenzionabile il datore di lavoro per non avere vigilato che i lavoratori rispettassero gli obblighi di sicurezza posti a loro carico se questi dimostra la presenza in cantiere del preposto dallo stesso nominato sul quale gravano le stesse incombenze.

l caso, la condanna del Tribunale e il ricorso per cassazione.

Il Tribunale ha dichiarato la legale rappresentante di un’impresa edile colpevole delle contravvenzioni di cui agli artt. 18, comma 1, lett. f) e 122, comma 1 del D. Lgs n. 81, e l’ha condannata alla pena di 3.500,00 euro di ammenda. L’imputata ha ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:

– inosservanza e/o erronea applicazione delle norme contestate e dell’art. 125 cod. proc. pen.; carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Il Tribunale, secondo la ricorrente, l’avrebbe condannata, pur in assenza di un qualunque profilo di colpa avendo l’istruttoria dibattimentale provato che aveva fornito ai dipendenti i dispositivi di sicurezza individuale, che aveva redatto il P.O.S. e il P.I.M.U.S. e che aveva nominato un preposto il quale, presente sul cantiere, avrebbe dovuto verificare l’esatta adozione di tutte le misure di sicurezza. Qualunque responsabilità, pertanto, avrebbe dovuto gravare, secondo la ricorrente, solo su quest’ultimo come peraltro stabilito dall’art. 18, comma 3 bis, del D. Lgs. n. 81 del 2008. La ricorrente, quindi, sarebbe stata condannata in forza della sola carica ricoperta, e senza il necessario accertamento del profilo soggettivo del reato, anche a titolo di colpa;

– inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen., con mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale avrebbe irrogato una pena immotivatamente elevata, tanto per il reato base quanto per l’aumento a titolo di continuazione, così da imporsi ulteriormente l’annullamento della sentenza.

Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso. L’istruttoria dibattimentale, infatti, aveva provato che per i lavori in corso nel cantiere dall’impresa edile dell’imputata erano stati presentati il Piano operativo per la sicurezza (P.O.S.) ed il Piano di montaggio utilizzo e smontaggio dei ponteggi (P.I.M.U.S.) e che inoltre, al momento del sopralluogo dei vigilanti, alcuni lavoratori. pur muniti di imbracatura operavano in quota senza vincolarsi ad alcun ancoraggio, così esponendosi al pericolo di caduta; il montante inoltre su cui era stato applicato l’argano per l’elevazione del materiale era esterno e privo di raddoppio per cui le violazioni alle norme in materia di sicurezza sul lavoro erano evidenti. Era risultato altresì che nel cantiere era presente un preposto regolarmente nominato, coimputato, che coordinava le operazioni da terra.

 

Ciò premesso, ha così proseguito la Sezione III, il Tribunale aveva affermata la responsabilità di entrambi i soggetti, pur nel differente ruolo, con riguardo alla medesima condotta; se, il preposto infatti, era stato condannato per non aver vigilato sull’osservanza degli obblighi di sicurezza da parte dei singoli lavoratori, nonché sul rispetto delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nei termini citati, così l‘imputata era stata ritenuta responsabile della medesima condotta omissiva (art. 18, comma 1, lett. f). La ricorrente, in altri termini, era stata condannata per non aver richiesto l’osservanza, da parte dei lavoratori, delle norme vigenti in materia di sicurezza senza però che il Tribunale avesse fatto alcun accenno alla figura ed al ruolo del preposto, presente in cantiere, alla cui nomina la stessa aveva provveduto e sul quale gravavano i medesimi obblighi, ai sensi dell’art. 19, lett. a), del D. Lgs. n. 81 del 2008.

 

Per quanto sopra detto, in conclusione, la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza e lo ha fatto senza rinvio al Tribunale di provenienza, essendo maturati i termini di prescrizione, ai sensi degli artt. 157-161 del codice penale.