Gli obblighi per il rischio di caduta nei lavori in quota e sottoquota
Ci si è sempre chiesti cosa si deve intendere per caduta dall’alto, come definire l’”alto” ed a partire da quale altezza è necessario proteggersi dalla caduta dall’alto. La lettura di una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 39024 del 20/9/2016 della Sezione IV penale chiamata a decidere su di ricorso proposto contro una sentenza della Corte di Appello, nella quale la suprema Corte si è espressa in merito all’applicazione dell’art. 122 del D. Lgs 9/4/2008 n. 81 e s.m.i. e al rapporto esistente fra le disposizioni sulla protezione dalla caduta dall’alto di cui al D.P.R. 7/1/1956 n. 164, abrogate, e le corrispondenti nuove disposizioni di cui allo stesso D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. – ci induce ad aggiornare un approfondimento sull’argomento che è stato già fatto per la verità subito dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 8/7/2003 n. 235.
Con tale D. Lgs. n. 235/2003, emanato per dare attuazione della direttiva 2001/45/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso da parte dei lavoratori delle attrezzature di lavoro utilizzate per l’esecuzione dei lavori temporanei in quota, erano state apportate a suo tempo delle integrazioni all’allora vigente D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 ed era stata introdotta per la prima volta in Italia la definizione dei lavori in quota individuati come “una attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile“. In realtà il riferimento alla misura dei due metri, quando si parla di rischio di caduta dall’alto, c’è sempre stato nelle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare in quelle relative alla sicurezza nelle costruzioni di cui al citato D.P.R. n. 164/1956 il quale con l’art. 16 ebbe a disporre in particolare che “nei lavori che sono eseguiti ad un’altezza superiore ai m. 2, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose“. Sulla interpretazione da dare al contenuto dell’art. 16 del D.P.R. n. 164/56 si è sempre discusso nel senso che ci si è sempre chiesti, considerato che il legislatore finalizzava l’applicazione della misura di sicurezza esplicitamente alla eliminazione “dei pericoli di caduta di persone o di cose”, se per l’altezza di 2 metri era da intendersi la quota alla quale venivano effettuati i lavori, corrispondente sostanzialmente all’ altezza della posizione delle braccia, oppure, come appariva più logico, la quota dalla quale potesse cadere il lavoratore, corrispondente sostanzialmente alla posizione del piano di calpestio sul quale lo stesso viene a trovarsi.
La Corte di Cassazione, chiamata all’epoca più volte ad interpretare la disposizione di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 164/56, si è espressa prevalentemente sostenendo che ciò che contava ai fini dell’applicazione di tale articolo era l’altezza alla quale si stavano svolgendo i lavori (fra tutte Cass. Pen. Sez. IV 7 giugno 1983, Cass. Pen. Sez. IV 4 agosto 1982, Cass. Pen. Sez. IV n. 741 del 25 gennaio 1982) e non anche quella del piano di calpestio sul quale si trovava il lavoratore ma non sono mancate comunque delle espressioni della stessa Corte di Cassazione che si sono orientate nel senso contrario.Lo stesso D.P.R. n. 164/56 in verità aveva fatto riferimento ai lavori eseguiti ad un’altezza maggiore di 2 metri e alle misure di protezione adottare anche allorquando ha disposto con l’art. 24 che “gli impalcati e ponti di servizio, le passerelle, le andatoie, che siano posti ad un’altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso il vuoto di robusto parapetto costituito da uno o più correnti paralleli all’intavolato, il cui margine superiore sia posto a non meno di 1 metro dal piano di calpestio, e di tavola fermapiede alta non meno di 20 centimetri, messa di costa e aderente al tavolato” . Nel 1996 è stato poi emanato il D. Lgs. 14/8/1996 n. 494 sui requisiti minimi di sicurezza da attuare nei cantieri temporanei o mobili e, fra i lavori indicati nell’Allegato II comportanti rischi particolari per la salute e la sicurezza dei lavoratori e per i quali venivano richiesti particolari adempimenti aggiuntivi, sono stati introdotti quelli che espongono a rischi di caduta dall’alto da altezza superiore a m 2, anche se particolarmente aggravati dalla natura dell’attività o dei procedimenti attuati oppure dalle condizioni ambientali del posto di lavoro o dell’opera. Nel 2008 è stato quindi emanato il D. Lgs. n. 81/2008 ed anche in esso si riscontra un riferimento ai lavori che vengono eseguiti ad una altezza superiore ai 2 m e ciò è stato fatto precisamente nell’art. 122 dello stesso decreto riguardante i ponteggi e le opere provvisionali, secondo il quale:
“nei lavori che sono eseguiti ad un’altezza superiore ai m 2 devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose conformemente al punto 2 dell’allegato XVIII”
articolo con il quale, si fa osservare, è stato sostanzialmente riscritto il contenuto dell’art. 16 abrogato creando così una sorta di continuità normativa fra le vecchie e le nuove disposizioni sulla protezione dalla caduta dall’alto, così come ha anche ben messo in evidenza la Corte di Cassazione nella sentenza n. 39024 della Sez. IV penale del 20/9/2016 sopra indicata.
A tal punto però c’è da mettere in evidenza che nel 2009 con il D. Lgs. 3/8/2009 n. 106, correttivo ed integrativo del D. Lgs. n. 81/2008, il legislatore, proprio forse per fugare i dubbi sorti e per porre fine alle varie interpretazioni date sull’applicazione dell’abrogato art. 16 del D.P.R. n. 164/1996 e quindi del vigente corrispondente articolo 122 del D. Lgs. n. 81/2008, ha modificato lo stesso articolo che attualmente così recita:
“nei lavori in quota, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose conformemente ai punti 2, 3.1, 3.2 e 3.3 dell’allegato XVIII”,
per cui è facile osservare, dal confronto dei due testi, che l’espressione “nei lavori che sono eseguiti ad un’altezza superiore ai m 2 devono essere adottate”, che compariva nel testo originario, è stata sostituita con l’espressione “nei lavori in quota, devono essere adottate”.
Nessun dubbio quindi sussiste oggi in definitiva sul campo di applicazione dell’art. 122 del D. Lgs. n. 81/2008 riferito ai lavori per i quali viene richiesta una protezione al fine di evitare la caduta dall’alto di persone o cose, che il legislatore ha voluto legare esplicitamente ai lavori in quota così come definiti nell’art 107 dello stesso D. Lgs.. Nessun dubbio altresì sussiste sulle misure di protezione da adottare ogni qualvolta nel testo del D. Lgs. n. 81/2008 vengono citati i “lavori in quota” così come accade nell’art. 115 sui sistemi di protezione individuali. Questa conclusione non deve però portare a pensare che nel caso di lavori per l’esecuzione dei quali un lavoratore venga a trovarsi su di un piano di calpestio posto ad una altezza inferiore ai 2 metri, che lo scrivente ama definire “lavori sottoquota”, non vadano adottate ugualmente delle misure di protezione dalla caduta dall’alto e che quindi possano essere effettuati senza alcuna protezione.
Se esaminiamo, infatti, più approfonditamente le disposizioni dettate dal D. Lgs. n. 81/2008 in merito alle misure da adottare a protezione dalla caduta dall’alto, emerge chiaramente che, mentre con l’art. 126, contenuto nel Titolo IV dello stesso decreto legislativo e valido quindi per i cantieri temporanei o mobili, è stato confermato che la caduta da un’altezza di 2 metri vada comunque protetta verso il vuoto con un robusto parapetto avendo lo stesso imposto che “gli impalcati e ponti di servizio, le passerelle, le andatoie, che siano posti ad un’altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso il vuoto di robusto parapetto e in buono stato di conservazione”, lo stesso D. Lgs. n. 81/2008 nell’Allegato IV, contenente i requisiti che devono possedere i luoghi di lavoro, con una disposizione che è quindi applicabile a tutte le attività oltre a quella svolta nei cantieri edili, ha indicato esplicitamente al punto 1.7.3 che “le impalcature, le passerelle, i ripiani, le rampe di accesso, i balconi ed i posti di lavoro o di passaggio sopraelevati devono essere provvisti, su tutti i lati aperti, di parapetti normali con arresto al piede o di difesa equivalenti” con l’unica eccezione che tale protezione non è richiesta per i piani di caricamento di altezza inferiore ai 2 m.
Nel D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. non si riscontra per la verità una definizione di posti di lavoro “sopraelevati” per i quali il legislatore ha previsto l’obbligo di una protezione contro la caduta dall’alto ma dei riferimenti si potrebbero comunque rinvenire nella lettura di altre disposizioni contenute nello stesso decreto legislativo. Si osserva, infatti che nel comma 1 dell’art.146, che si riferisce alla difesa delle aperture verso il vuoto, si legge che “le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio”e che nel comma 3 dello stesso articolo 146 si legge che “le aperture nei muri prospicienti il vuoto o vani che abbiano una profondità superiore a m 0,50 devono essere munite di normale parapetto e tavole fermapiede oppure essere convenientemente sbarrate in modo da impedire la caduta di persone”per cui in definitiva si può pensare che per luogo sopraelevato possa essere inteso un posto di lavoro che si trovi già ad un’altezza che superi i 50 centimetri dal suolo e che quindi già a partire da tale altezza è necessario che il posto di lavoro sia protetto sui lati aperti.