Sulla responsabilità del CSE per mancata verifica e coordinamento
Entra questa sentenza della Corte di Cassazione a far parte di quelle sentenze con le quali la stessa Corte ha confermato la condanna nei confronti di un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione nei cantieri temporanei o mobili ma questa volta in un modo in un certo senso un po’ particolare in quanto il coordinatore per la sicurezza è stato condannato per l’infortunio accaduto a un lavoratore in un cantiere edile avvenuto per la mancanza di misure di sicurezza sul lavoro poste dal legislatore a carico del datore di lavoro e per la violazione di alcuni obblighi contenuti nel D. Lgs. n. 494/1996 posti sì a carico del coordinatore ma comunque non inserite nei capi di imputazione formulati nei suoi confronti.
Nel caso in esame, dopo un lungo iter giudiziario dinnanzi al Tribunale e alla Corte territoriale la Corte di Cassazione ha confermata la sentenza di condanna emessa nei confronti di un coordinatore per la sicurezza nei primi gradi di giudizio rigettando il ricorso dallo stesso avanzato con il quale aveva messo in evidenza una violazione da parte della Corte di Appello del principio della corrispondenza fra imputazione e sentenza di cui all’art. 251 del c.p.p.. Pur dato atto, ha sottolineato la suprema Corte nella sentenza, della estraneità del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ai precetti contenuti nelle imputazioni, che facevano riferimento a violazioni di disposizioni contenute nel D.P.R. n. 164/1956 in quanto rivolte al datore di lavoro, è stata comunque individuata una sua condotta colposa per non avere vigilato, nel rispetto degli obblighi di coordinamento e di sicurezza posti a suo carico, sulla predisposizione delle misure di sicurezza (la protezione dalla caduta dall’alto) la cui mancanza aveva portato all’infortunio del lavoratore.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha condannato alla pena di giustizia un coordinatore dei lavori nella fase di progettazione e realizzazione in relazione a plurime contravvenzioni alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro e al delitto di cui all’art. 590 del codice penale per avere per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e violazione degli artt. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164/1956, concorso a cagionare a un lavoratore lesioni gravissime conseguenti a una caduta dal tetto di un edificio in costruzione. Era stato accertato durante le indagini che il lavoratore prima della pausa estiva aveva terminato i lavori di copertura di una villetta teatro del sinistro e che pertanto il ponteggio che era stato collocato in corrispondenza di tale villetta era stato smontato, per essere installato presso un diverso manufatto, cosicché quando, alla ripresa dei lavori, al lavoratore stesso era stato richiesto di riallineare le tegole non perfettamente collocate sul tetto, questi si era portato sullo stesso e durante gli spostamenti era scivolato ed era caduto nel vuoto, stante la mancanza di metà del ponteggio nella zona in cui doveva essere sistemata la copertura.
Ad avviso del Tribunale dell’accaduto doveva rispondere innanzitutto il coordinatore per la progettazione e l’esecuzione nominato dalla committente perché non aveva eseguito alcuna concreta azione di coordinamento. Nell’esaminare il piano di sicurezza e di coordinamento, inoltre, il Tribunale aveva ravvisato incongruenze definite “sorprendenti”, come quella di prevedere la realizzazione di una sola villetta, laddove nella realtà ne erano in costruzione ben sei.
La Corte di Appello, investita dell’impugnazione del coordinatore e degli altri imputati, ha dichiarata l’estinzione per prescrizione delle ipotesi contravvenzionali e aveva ridotta la pena in relazione al reato di lesioni colpose ascritto al coordinatore, confermando nel resto la sentenza di primo grado. Tale sentenza è stata successivamente annullata dalla Corte suprema con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di provenienza. limitatamente alla posizione del solo coordinatore. La Corte di Appello quindi, pronunziandosi a seguito dell’annullamento con rinvio, ha parzialmente riformata la sentenza del Tribunale, dichiarando non doversi procedere nei confronti del coordinatore anche in ordine al residuo reato di lesioni colpose ascrittogli per essere lo stesso estinto per prescrizione e ha confermate le statuizioni civili a carico dell’appellante, condannandolo anche alla rifusione delle spese processuali sostenute da parte civile INAIL.
Avverso tale nuova sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per cassazione il coordinatore avanzando diverse motivazioni. Lo stesso ha innanzitutto sottolineato che con tale sentenza il giudice del rinvio era stato espressamente investito del compito di verificare se la ricostruzione del comportamento illecito ascritto a lui fosse o meno stata preceduta da un procedimento nel quale costui fosse stato messo in grado di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti in capo al coordinatore, onde esplicitare se la asimmetria tra l’imputazione e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti, ma la Corte di Appello non vi aveva provveduto, omettendo anche di verificare se nella fase antecedente al procedimento penale gli fossero state impartite le prescrizioni contemplate dal D. Lgs. n. 758 del 1994, costituente, tra l’altro, condizione di procedibilità dell’azione penale in relazione alle ipotesi contravvenzionali contemplate dalle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale.
Come altro motivo il ricorrente ha lamentata una violazione degli artt. 590 cod. pen e 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164/1956, per avere la Corte di Appello affermata la applicabilità a lui di tali disposizioni, nella sua veste di coordinatore dei lavori, benché dette norme riguardassero il datore di lavoro e benché la figura del coordinatore dei lavori non fosse contemplata da tali norme, in quanto introdotta nell’ordinamento per la prima volta dal D. Lgs. n. 494 del 1996, censurando la conseguente e collegata affermazione secondo cui dalla contestazione della violazione di tali disposizioni potrebbero ricavarsi gli addebiti delle condotte colpose concretamente da lui tenute quale coordinatore dei lavori, essendo estranea tale figura agli obblighi stabiliti da tali disposizioni concernenti il datore di lavoro.
Il coordinatore ha lamentato, inoltre, l’insufficienza e l’illogicità della motivazione, in ordine alla violazione da parte sua degli obblighi stabiliti dagli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n. 494 del 1996 a carico del coordinatore dei lavori e consistenti nell’assicurare il collegamento tra l’impresa appaltatrice e il committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, nell’adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, nel vigilare sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le lavorazioni, non essendo stata adeguatamente accertata la violazione da parte sua di tali doveri e non avendo la sentenza impugnata dato atto adeguatamente che esso aveva provveduto ad adeguare il piano di sicurezza del cantiere alle esigenze emerse nel corso delle lavorazioni.
L’imputato ha ancora censurato l’affermazione della Corte di Appello riguardo alla configurabilità del suo concorso nel reato proprio commesso dal datore di lavoro, mediante la violazione delle suddette disposizioni antinfortunistiche (applicabili solamente al datore di lavoro), difettando la prova di un legame psicologico tra le condotte di tali soggetti, da qualificare pertanto come cause colpose indipendenti.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso non è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione ed è stato pertanto respinto. La stessa ha evidenziato che nel precedente ricorso per cassazione proposto dal coordinatore nei confronti della sentenza della Corte di Appello di conferma della condanna per il reato di lesioni colpose, era stata rilevata la sussistenza del vizio di motivazione denunciato dal ricorrente riguardo alla discrepanza tra la contestazione di colpa, consistente, tra l’altro, nella violazione degli artt. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164 del 1956, e la violazione degli obblighi posti a carico del coordinatore per l’esecuzione dei lavori dagli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n. 494 del 1996, non oggetto di formale contestazione, ma, ciò nonostante, posta a base della affermazione di responsabilità dello stesso da parte del Tribunale, con valutazione condivisa dalla Corte di Appello.
Al riguardo era stato anche sottolineato dal ricorrente come la Corte di Appello, in presenza di una specifica doglianza sul punto da parte sua, avrebbe dovuto verificare se la ricostruzione del suo comportamento trasgressivo fosse stata preceduta da un procedimento nel quale questi fosse stato messo in condizioni di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificatamente posti in capo al coordinatore, in modo da esplicitare se la indubbia asimmetria tra la contestazione formalizzata con il decreto che dispone il giudizio e la motivazione della condanna fosse stata elaborata nel contraddittorio delle parti. Proprio in difetto di tale verifica era stato infatti disposto il rinvio per nuovo esame sul punto.
Con riferimento alla violazione del principio della corrispondenza fra imputazione e sentenza di cui all’art. 251 del c.p.p. la Corte suprema ha ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimità sia stato affermato il principio secondo cui, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale nei suoi elementi essenziali e che l’indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all’oggetto dell’imputazione così come ritenuta in sentenza. “E’ configurabile la violazione del principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la pronuncia”, ha sottolineato la suprema Corte, “solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell’addebito”.
E’ stato, poi, ulteriormente precisato, ha così proseguito la Sez. III, come “ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen., debba tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione”. “L’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato”. Ne consegue che “la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza”.
Nella vicenda in esame la Corte d’appello, investita nel giudizio di rinvio del compito di verificare se la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale, che aveva ravvisato la responsabilità del coordinatore per la violazione degli artt. 4 e 5 del D. Lgs. n. 494/96, non richiamati nella imputazione, fosse stata preceduta da un procedimento nel quale l’imputato fosse stato messo in condizione di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori, ha ritenuto che nel corso del giudizio l’imputato avesse avuto piena consapevolezza della portata della contestazione a suo carico, tenendo conto degli elementi probatori acquisiti in contraddittorio.
La Corte territoriale, ha quindi proseguito la Corte di Cassazione, pur dando atto della estraneità del coordinatore ai precetti contenuti negli artt. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164 del 1956, in quanto rivolti ai datori di lavoro, ha tuttavia sottolineato la rilevanza, sul piano della specificazione delle concrete condotte colpose addebitate all’imputato quale coordinatore dei lavori, delle condotte descritte in tali imputazioni, e in particolare delle omissioni delle cautele di sicurezza alle quali è stata ricondotta la verificazione dell’evento (e cioè la caduta del lavoratore dal tetto), nell’ambito delle quali è stato sottolineato il rilievo della omissione della vigilanza sulla predisposizione dei sistemi di protezione dalla cadute dall’alto, risultate inadeguate. Sulla base di tali elementi la Corte territoriale ha quindi ritenuto che l’imputato fosse stato ampiamente messo in condizione di svolgere pienamente le proprie difese, in relazione alle risultanze probatorie portate alla sua conoscenza, che avevano formato oggetto di sostanziale contestazione.
L’insussistenza, ha così concluso la suprema Corte, sia della denunciata inottemperanza a quanto indicato nella sentenza di annullamento con rinvio, avendo la Corte territoriale ampiamente e positivamente verificato che la ricostruzione del fatto compiuta dal Tribunale era stata preceduta da un procedimento nel quale l’imputato era stato messo in condizione di difendersi dall’accusa di essere venuto meno agli obblighi specificamente posti a carico del coordinatore dei lavori, sia della violazione degli arti. 10, 16 e 68 del D.P.R. n. 164 del 1956, i cui precetti non sono stati considerati nella valutazione della condotta dell’imputato, esaminata con riferimento alle condotte descritte nei capi di imputazione relativi alle contravvenzioni, condotte ritenute allo stesso ascrivibili non quale datore di lavoro ma come coordinatore dei lavori, così come descritte in dette imputazioni.
Da ciò anche l’irrilevanza dell’inosservanza delle forme del procedimento amministrativo di contestazione di cui agli artt. 20 e 21 del D. Lgs. n. 758/1994, relativo alle disposizioni antinfortunistiche, nella specie non oggetto di esame né di contestazione all’imputato, dunque privo di rilievo in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen. contestato all’imputato, per la cui procedibilità non è necessario l’espletamento preventivo di tale procedimento.