L’omessa indicazione nei DVR delle misure di protezione contro i rischi
Fa riferimento questa sentenza della Corte di Cassazione a quei casi nei quali, benché sia stata fatta da parte del datore di lavoro una valutazione dei rischi presenti nella sua azienda, non siano state invece individuate e riportate nel documento di valutazione dei rischi le misure di prevenzione necessarie per la eliminazione o la riduzione al minimo dei rischi stessi ed è importante perché “suggerisce” come va considerata questa carenza con riferimento al rispetto dell’obbligo della valutazione dei rischi di cui all’art. 17 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Se sono stati valutati tutti i rischi, ha infatti sostenuto la suprema Corte nella sentenza, ma ne è scaturita una carente individuazione delle misure si può parlare ancora di omissione della valutazione dei rischi perché essa non è costituita soltanto dal rilevamento, dall’analisi e dalla ponderazione dei rischi ma anche dalla concretizzazione del giudizio sul rischio nel modo di essere dell’organizzazione produttiva e quindi dall’individuazione delle misure di prevenzione necessarie per eliminare i rischi stessi o comunque ridurli al minimo.
Il fatto
Il legale rappresentante di una società ha ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva parzialmente riformata la pronuncia emessa dal Tribunale che lo aveva giudicato responsabile dell’infortunio patito da un lavoratore dipendente della società e condannato alla pena di quindici giorni di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante per aver commesso il fatto con violazione di norme prevenzionistiche. La Corte di Appello aveva, infatti, concesso l’attenuante del risarcimento del danno e aveva inflitto la pena di centoventi euro di multa.
Secondo la ricostruzione dell’infortunio fatta nei primi gradi di giudizio il lavoratore era stato chiamato ad intervenire su una macchina cesoiatrice-tornitrice utilizzata per la rifilatura di bicchieri metallici mediante la rimozione di sbavature dai bordi, perché tale operazione non veniva eseguita a regola d’arte a causa dell’usura dello strumento da taglio.
Il lavoratore aveva posto il macchinario in modalità di funzionamento manuale e, fermato con una mano un bicchiere sul piano di appoggio, aveva quindi premuto il pulsante di attivazione della contropunta discendente invece di quello che comandava l’avanzamento orizzontale della ‘placchetta’ per verificarne la posizione rispetto al bordo del bicchiere. La contropunta aveva così colpita la mano del lavoratore che teneva il bicchiere, cagionando allo stesso la subamputazione dell’apice del quarto dito.
Al responsabile legale della società era stato rimproverato di aver omesso, nella menzionata qualità, la valutazione del rischio relativo alla manutenzione e messa a punto della pressa (art. 17 comma 1 lett. a), 55 comma 3 e 29 comma 3 del D. Lgs. n. 81/2008) nonché di aver omesso di aggiornare le misure di prevenzione in relazione al grado di evoluzione della tecnica di prevenzione e protezione (art. 18 comma 1 lett. z) del D. Lgs. n. 81/2008).
Ad avviso della Corte di Appello, all’origine del sinistro vi era stata la mancata valutazione del rischio connesso alle operazioni di manutenzione sul macchinario, che qualora eseguita avrebbe condotto a prevedere l’esecuzione della manutenzione solo quando l’apparecchiatura fosse stata staccata dalla forza motrice e movimentata manualmente oppure a collocare il pulsante di avanzamento orizzontale della ‘placchetta’ lontano da quello di attivazione della contropunta discendente nonché a regolare il tempo di discesa di questa in modo da determinarne un movimento estremamente lento, così permettendo al lavoratore di allontanare le mani ed il corpo dalla zona di lavorazione del pistone.
Nel ricorso l’imputato ha rilevato che in realtà la Corte di Appello aveva rimproverato non già un comportamento integrante l’omissione della valutazione del rischio bensì di aver eseguito una valutazione non condivisa perché non puntuale a riguardo delle due ritenute criticità; e ciò ha fatto non considerando la documentazione prodotta e gli argomenti illustrati dalla difesa, che dimostravano l’avvenuta valutazione, anche in relazione alla fase di manutenzione, e non considerando altresì il giudizio di adeguatezza della medesima stessa formulato dalla ASL poche settimane prima dell’infortunio.
Lo stesso ha precisato, inoltre, che la contestazione di omessa valutazione del rischio doveva ritenersi ontologicamente diversa dalla contestazione di non adeguatezza del macchinario alla normativa antinfortunistica e che l’affermazione dell’esistenza della criticità rappresentata dalla collocazione dei pulsanti e dalla eccessiva velocità della discesa della ‘placchetta’ contrastava con le risultanze documentali e con l’incertezza in merito all’effettivo tempo di discesa. Si è lamentato, altresì, per il fatto che la Corte di Appello non ha dato conto delle ritenute evoluzioni della tecnica e della prevenzione che avrebbero dovuto indurre il datore di lavoro ad aggiornare le misure di prevenzione sulla macchina che aveva subito degli interventi migliorativi di recente, come testimoniato dal funzionario della ASL con il contributo del consulente tecnico della difesa. Come ultimo motivo si è lamentato il ricorrente per non avere la Corte di Appello tenuto conto del comportamento abnorme del lavoratore infortunatosi.
Le considerazioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione e quindi rigettato. La suprema Corte in primo luogo ha escluso che la stessa potesse operare una diversa valutazione circa l’esistenza delle criticità rappresentate dalla collocazione dei pulsanti e dalla eccessiva velocità della discesa della ‘placchetta’, così come aveva preteso il ricorrente, trattandosi di accertamento di circostanze fattuali riservato al giudice del merito e quindi insindacabile in sede di legittimità, per cui si doveva dare per assodato che la macchina presentava due pulsanti posti in posizione non idonea ed aveva uno stantuffo il cui tempo di discesa era troppo breve rispetto a quella prevista dalle normative tecniche.
La suprema Corte si è invece espressa sul concetto di assimilabilità di una valutazione inadeguata ad una omessa valutazione. Sul piano concettuale, ha così sostenuto la stessa, la totale omissione della valutazione dei rischi é cosa diversa dalla valutazione di solo alcuni dei rischi presenti nel processo produttivo ma la normativa prevenzionistica pone a carico del datore di lavoro l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, di redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D. Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori di talché l’incompleta valutazione determina una deviazione dal facere doveroso che vale ad integrare l’omissione giuridicamente rilevante.
Pertanto, ha così proseguito la suprema Corte, “ove i rischi siano stati tutti valutati ma ne sia scaturita una carente individuazione delle misure, ancora può parlarsi di omissione della valutazione, perché essa non è costituita soltanto dal rilevamento, dall’analisi e dalla ponderazione dei rischi ma anche dalla concretizzazione del giudizio sul rischio nel modo di essere dell’organizzazione produttiva: quindi dall’individuazione delle misure di prevenzione necessarie”. La Corte di Appello quindi, secondo la suprema Corte, ha operato correttamente ritenuto che integra l’omissione della valutazione la mancata analisi delle due criticità sopra descritte e comunque la mancata individuazione e quindi la mancata adozione delle misure prevenzionistiche idonee ad eliminare il rischio di schiacciamento dell’operatore addetto alla manutenzione del macchinario (distacco di questo dalla rete di alimentazione elettrica e/o diminuzione della velocità di discesa dello stantuffo, distanziamento dei pulsanti).
In merito, infine, al comportamento del lavoratore infortunato la suprema Corte ha ribadita la nozione di “condotta abnorme” che la giurisprudenza di legittimità ha assunto in una nutrita serie di pronunce nelle quali è stato posto l’accento sul fatto che non vi è abnormità nel compimento da parte del lavoratore di un’operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulti eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo. Con riferimento al caso in esame, ha così concluso la Corte di Cassazione, è risultato pacifico che il lavoratore aveva riportato le lesioni mentre svolgeva le attività di manutenzione del macchinario, peraltro secondo le procedure di lavoro previste e che l’errore esecutivo nel quale egli era incorso (azionare il pulsante della discesa del punzone invece che quello dell’avanzamento e mantenere la mano nella zona di operazione dell’attrezzo) aveva costituito proprio uno dei comportamenti che la regola cautelare mira ad escludere.