Sulla responsabilità per un infortunio derivante da scelte gestionali
La Corte di Cassazione, che si è occupata in questa sentenza di un grave incidente occorso in un’azienda a una dipendente cui è stato amputato un dito tranciato da una pressa, ha trovato l’occasione per fornire delle indicazioni utili per la individuazione del garante della sicurezza e dei limiti della delegabilità degli obblighi da parte del datore di lavoro nelle strutture aziendali particolarmente complesse. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha infatti sostenuto la suprema Corte, occorre fare riferimento, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del datore di lavoro l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo.
La stessa Corte di Cassazione, dopo avere richiamato le responsabilità delle tre principali figure nella organizzazione della sicurezza aziendale e cioè del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, ha rigettato il ricorso presentato dal datore di lavoro che aveva tentato di far ricadere sui delegati la responsabilità per il grave incidente accaduto in fabbrica rammentando invece che gli obblighi di prevenzione e di sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti a un delegato nell’ambito dei criteri fissati con l’art. 16 del D. Lgs. n. 81/2008. Con riferimento, in particolare, all’istituto della delega la suprema Corte ha richiamato il dettato a mente del quale gli obblighi di assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D. Lgs. n.81/2008, oltre ad essere espresso, effettivo e non equivoco e ad investire un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza e che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione e spesa, riguardi comunque un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione.
La Corte di Appello ha parzialmente riformata, previo riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e riduzione della pena, la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale nei confronti dell’amministratore unico di una società in relazione al reato di cui agli artt. 40, secondo comma, e 590, commi 1 e 3, cod. pen. perché, nella qualità di datore di lavoro, aveva causato lesioni personali per colpa a una dipendente della società medesima. Al momento dell’infortunio la dipendente aveva posizionato un cavo elettrico sotto la pressa di una macchina fastonatrice e doveva far scendere un pistone, premendo con il piede un pedale, al fine di chiudere il terminale sul cavo.
La macchina era sprovvista dei requisiti minimi di sicurezza, posto che poteva essere messa in funzione anche con la protezione delle parti in movimento alzata per cui, mentre la lavoratrice, terminato l’inserimento di un terminale, stava estraendo il cavo lavorato dalla matrice, la macchina si era messa autonomamente in funzione, verosimilmente per un inavvertito urto del pedale, ed aveva fatto scendere il pistone schiacciando il dito della mano destra della lavoratrice. All’imputato si era addebitato l’omesso adempimento degli obblighi di formazione e addestramento dei dipendenti, l’omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi aggiornato e l’aver messo a disposizione dei dipendenti una macchina sprovvista dei requisiti minimi di sicurezza.
L’imputato ha ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata con unico motivo per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della posizione di garanzia in capo allo stesso. Secondo il ricorrente, infatti, il principio della personalità della responsabilità penale ed il principio di effettività avrebbero imposto di fare riferimento alle mansioni concretamente svolte e non alla qualificazione astratta del rapporto per l’individuazione del titolare della posizione di garanzia, laddove impropriamente nella sentenza si è richiamato l’istituto della delega ed i suoi presupposti formali anziché tenere conto della prova fornita dalla difesa a sostegno della sussistenza di un soggetto delegato in materia di sicurezza e di prevenzione degli infortuni.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha ricordato che la legislazione vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro ha ritenuto che la prevenzione debba essere basata sulla programmazione del sistema di sicurezza aziendale nonché su un modello «collaborativo» di gestione del rischio da attività lavorativa per cui sono stati delineati i compiti di una serie di soggetti, dotati di specifiche professionalità, anche degli stessi lavoratori, funzionali ad individuare ed attuare le misure più adeguate a prevenire i rischi connessi all’esercizio dell’attività d’impresa. Le forme di protezione antinfortunistica, in altre parole, ha sostenuto la suprema Corte, dopo l’entrata in vigore dei decreti d’ispirazione comunitaria, hanno mirato principalmente a minimizzare i rischi bilanciando gli interessi connessi alla sicurezza del lavoro con quelli che vi possano entrare in potenziale contrasto. Ne deriva una diversa prospettiva dalla quale il giudice del merito è tenuto ad accertare la sussistenza delle posizioni di garanzia e le, conseguenti, responsabilità penali per omissione delle dovute cautele.
E’ evidente da questa diversa prospettiva, ha così proseguito la Sezione IV, il rilievo che assumono, innanzitutto, i compiti non delegabili di predisposizione del documento di valutazione dei rischi e di nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione da parte del datore di lavoro. Nel caso concreto, spicca la violazione dell’obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi, contestata all’imputato e non specificamente negata dalla difesa.
Quanto all’individuazione delle diverse posizioni di garanzia nell’ambito dell’amministrazione di un Ente, la suprema Corte ha ritenuto di richiamare testualmente le chiare indicazioni fornite dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn) secondo le quali la prima e fondamentale figura responsabile in una azienda è quella del datore di lavoro. Si tratta del soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda stessa o di una sua unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Il dirigente costituisce il livello di responsabilità intermedio nel senso che è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli. Il dirigente, dunque, nell’ambito del suo elevato ruolo nell’organizzazione delle attività, è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell’assicurare l’osservanza della disciplina legale nel suo complesso e, quindi, nell’attuazione degli adempimenti che l’ordinamento demanda al datore di lavoro e tale ruolo, naturalmente, è conformato ai poteri gestionali di cui dispone concretamente. Ciò che rileva, quindi, non è solo e non tanto la qualifica astratta, ma anche e soprattutto la funzione assegnata e svolta.
Il preposto, infine, è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico. Per ambedue le ultime figure quindi occorre tenere conto, da un lato, dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità e dall’altro, del ruolo di vigilanza e controllo.
È ben possibile, quindi, che in un’organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i ruoli in questione. Nell’ambito dello stesso organismo può, dunque, riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti e tale complessità fa sì che l’individuazione della responsabilità penale passi, non di rado, attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione.
Per quanto riguarda il tema della validità o invalidità della delega delle funzioni ad un soggetto diverso dall’amministratore societario la Sez. IV ha sottolineato, che la Corte territoriale ha, in sostanza, applicato il dettato di quella suprema, a mente del quale gli obblighi di assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D. Lgs. n.81/2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia inoltre espresso ed effettivo, non equivoco, ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa. Nel caso in esame, tra l’altro, la difesa non aveva fornito prova scritta della delega, né aveva precisato i termini della delega asseritamente conferita, considerazione del tutto idonea a fondare il giudizio espresso dai giudici di merito, avallato peraltro dall’inequivocabile tenore letterale dell’art. 16 del D. Lgs. n.81/2008 (che richiama la forma scritta e la data certa della delega).
Con riferimento alle norme tecniche violate la Sez. IV ha messo in evidenza che i giudici di merito avevano individuato che era stata violata quella di cui all’art. 71, comma 4 lett. a) punto 3) del D. Lgs. n. 81/2008 nella parte in cui prescrive che il datore di lavoro deve curare che le macchine messe a disposizione dei lavoratori siano assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza stabilite con specifico provvedimento regolamentare adottato in relazione alle prescrizioni di cui all’articolo 18, comma 1, lettera z), essendo emerso dall’istruttoria che il macchinario poteva essere azionato anche se il sistema di protezione delle parti in movimento fosse stato disattivato. Tale obbligo è assoluto e non consente la permanenza di macchinari pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Correttamente, quindi, i giudici avevano punito il datore di lavoro per avere lo stesso messo a disposizione della lavoratrice un macchinario con sistema antinfortunistico non regolare.
Con riguardo, infine, al profilo di responsabilità, la suprema Corte ha ritenuto opportuno ribadire il principio in base al quale, “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del datore di lavoro l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, in motivazione; Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio, Rv. 26685301). E l’impiego di un macchinario con caratteristiche di pericolosità rientra proprio nella sfera gestionale riconducibile al vertice societario”.