Blog Single

21 Mag

Sull’adeguamento continuo del documento di valutazione dei rischi

Con riferimento alla disposizione di legge di cui all’art. 29 comma 3 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 secondo la quale la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità, questa sentenza della Corte di Cassazione dà sostanzialmente una risposta a chi si pone la domanda se l’obbligo dell’adeguamento dell’aggiornamento della valutazione stessa e della rielaborazione del DVR sussista anche nel verificarsi di altre situazioni diverse da quelle previste dal legislatore. Il documento di valutazione dei rischi, ha infatti precisato la suprema Corte, è uno strumento duttile che deve essere adeguato e attualizzato in relazione ai rischi concreti presenti in azienda e deve essere aggiornato con continuità a quei mutamenti sopravvenuti che possono essere potenzialmente suscettibili di determinare nuove e diverse esposizioni a rischi dei lavoratori.

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione

La Corte di Appello, in riforma della pronuncia assolutoria resa dal Tribunale, appellata dal P.M. e dalla parte civile, ha dichiarato l’amministratore delegato e il direttore generale di una società colpevoli dei reati di lesioni colpose in danno di più persone offese, con violazione delle norme antinfortunistiche, condannandoli, ciascuno, alla pena di un anno di reclusione. Per entrambi, era stata stabilita la pena sospesa e la non menzione della condanna nel casellario giudiziale. Gli imputati erano stati inoltre condannati, in solido, al risarcimento del danno subito dalla parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede, con il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, pari ad 200.000 euro oltre alla refusione delle spese per entrambi i gradi di giudizio. Agli imputati era stato contestato di avere cagionato, per colpa generica e specifica, lesioni personali a tre dipendenti dell’azienda le quali, impiegate nell’attività di cottura di pasti destinati alla refezione scolastica nella struttura aziendale, mediante l’impiego di apposito macchinario a pressione (brasiera multifunzione a gas), in seguito ad errate manovre di utilizzo del macchinario stesso, erano state investite da un imponente getto di calore proveniente dall’acqua in ebollizione, che cagionava loro in varie parti del corpo ustioni che avevano determinato nelle dipendenti stesse una malattia della durata superiore a 40 giorni. In particolare erano stati contestati all’amministratore delegato profili di colpa generica, per negligenza ed imprudenza, nonché, profili di colpa specifica individuati nella violazione dell’art. 17, comma 1, lett. b), del D. Lgs. n. 81/2008 per non avere lo stesso valutato i rischi derivanti dall’impiego dei macchinari agroalimentari multifunzione per la cottura tradizionale o in pressione dei cibi.   Quanto al direttore generale, oltre alla colpa generica, consistita in negligenza e imprudenza era stata contestata la violazione di cui all’art. 13, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008 per non avere adeguatamente informato le dipendenti dei rischi specifici cui erano esposte in relazione all’impiego delle macchine agroalimentari multifunzione per la cottura dei cibi. Avverso tale sentenza avevano proposto ricorso i rispettivi difensori degli imputati articolando ciascuno diverse motivazioni. In particolare l’amministratore delegato si era lamentato del fatto che la Corte di Appello lo aveva ritenuto erroneamente responsabile per l’omessa valutazione dei rischi conseguenti all’utilizzo dei macchinari di cui alla imputazione in quanto aveva incentrata la sua decisione sulla non delegabilità dell’elaborazione del DVR ad opera del datore di lavoro. La condanna, aveva sostenuto il ricorrente, era stata basata sulla necessità di elaborare o aggiornare il DVR a fronte di un documento già esistente ed elaborato in presenza di una situazione aziendale rimasta invariata. Lo stesso documento, ha aggiunto il ricorrente, era stato già aggiornato in collaborazione con un tecnico per cui lo stesso non era tenuto a provvedere ad un ulteriore aggiornamento. Non era intervenuta inoltre alcuna modifica organizzativa o strutturale dei luoghi di lavoro né era stato segnalato alcun infortunio e, essendo stato il macchinario presso cui era accaduto l’infortunio installato già da diverso tempo i rischi connessi alla sua utilizzazione erano stati già presi in considerazione nel documento di valutazione dei rischi originario. La Corte di Appello inoltre sarebbe incorsa in una errata interpretazione dell’art. 29 del D. Lgs. n. 81/2008 assumendo che la presenza di una sola cuoca in cucina, dovuta al trasferimento del collega in altra sede ed alla contestuale temporanea assenza del cuoco titolare, sarebbe rientrata nella previsione di tale norma, con conseguente obbligo del datore di lavoro di rielaborare il documento di valutazione dei rischi. Tali evenienze, infatti, rappresentando delle modifiche temporanee e non significative, non avrebbero richiesto un aggiornamento del documento di valutazione dei rischi. Con riferimento, inoltre, al cattivo funzionamento dell’apparecchiatura l’amministratore delegato aveva fatto presente che dello stesso era stato informato il direttore generale della struttura che sarebbe dovuto così intervenire per interessare gli addetti alla manutenzione. Con riferimento infine al ridotto numero di personale contestato, l’imputato aveva fatto presente che nel periodo in cui era avvenuto l’incidente il numero di pasti da preparare era notevolmente inferiore, a causa della chiusura delle scuole, sicché, le tre persone presenti in tale periodo erano sufficienti ad attendere alle incombenze necessarie. La difesa del direttore generale, da parte sua, fra le motivazioni ha sostenuto che lo stesso, all’epoca dell’infortunio, non era deputato ad occuparsi della formazione-informazione delle lavoratrici e che, secondo le prove acquisite nel corso della istruttoria dibattimentale, era risultato che soltanto dopo l’accadimento del fatto erano state rilasciate allo stesso due procure in materia di autocontrollo ai sensi del D. Lgs. n. 193/2007 e di sicurezza sul lavoro ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008. La stessa difesa ha sostenuta una violazione dell’art. 18, comma 1, lett. l) in relazione all’art. 37, comma 2, lett. b) e all’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008, nonché dell’art. 27 della Costituzione, nella parte in cui era stata affermata la responsabilità dell’imputato sulla base della mera investitura formale di direttore generale pro-tempore della società.

Le decisioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha innanzitutto rilevato che il reato ascritto agli imputati è estinto per intervenuta prescrizione. La stessa ha comunque evidenziato come i motivi di ricorso di entrambi gli imputati, sono risultati infondati.

La suprema Corte ha esaminato, in primo luogo, l’aspetto riguardante la legittimità della decisione della Corte di Appello sul punto concernente la posizione di garanzia rivestita dagli imputati, posizione che è stata messa in dubbio dai ricorrenti. Secondo la Cassazione questo aspetto era stato correttamente ed adeguatamente affrontato dalla Corte territoriale nella sentenza nella quale era stato evidenziato che l’amministratore delegato, in qualità di datore di lavoro, aveva il precipuo compito di valutare, con precisione, tutti i rischi ed i fattori di pericolo cui erano esposti i lavoratori in relazione ai compiti loro affidati e di verificare la efficacia del documento di valutazione dei rischi e che il direttore generale, in qualità di responsabile del centro cottura aveva il compito di fornire adeguate informazioni ai lavoratori addetti a quel reparto, in relazione al funzionamento delle macchine ivi esistenti ed ai rischi a cui si esponevano durante il loro impiego, nonché, di attuare una organizzazione del lavoro che tenesse indenne da eventuali infortuni i lavoratori inesperti. Il direttore generale di una struttura aziendale, ha precisato la Sez. IV, è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni. Ciò in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti. Nel caso in esame, inoltre, era risultato che lo stesso si recava nel centro “ad organizzare il lavoro della giornata, ad accertarsi di cosa mancasse ed a prendere gli ordini, che ricevesse e vistasse questi ultimi quando non andava personalmente in loco, che parlava con i dipendenti di come organizzare il lavoro e della manutenzione dei macchinari”. Sulla base di tali considerazioni la Corte di Cassazione ha considerate immune da censure le conclusioni alle quali era pervenuta quella territoriale in base alla quale il direttore generale doveva considerarsi destinatario delle norme prevenzionali, al pari del coimputato. Quanto alla posizione dell’amministratore delegato la suprema Corte ha rammentato che “in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno dei quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori”. Il fatto che il macchinario presso il quale era accaduto l’infortunio fosse presente nel Centro già da tempo non esonerava da responsabilità il datore di lavoro che aveva assunto tale carica successivamente. Infatti, come aveva correttamente sostenuto la Corte territoriale, da tale momento, il ricorrente diventava titolare in proprio, dell’obbligo di adeguata valutazione dei rischi e avrebbe, pertanto, dovuto prevedere i rischi connessi all’uso di tale macchinario nella sua funzione di pentola a pressione ed adottare tutte le misure necessarie ad evitarli.

L’assunto difensivo, poi, secondo il quale l’imputato non era tenuto ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi, è stato considerato dalla Corte di Cassazione anch’esso destituito di fondamento. “Il documento in questione”, ha infatti sostenuto la suprema Corte, “è uno strumento duttile, che deve essere adeguato e attualizzato, in relazione ai mutamenti sopravvenuti nell’azienda che sono potenzialmente suscettibili di determinare nuove e diverse esposizioni a rischio dei lavoratori. Sotto questo profilo, la Corte territoriale, ha correttamente applicato i principi stabiliti in materia dalla Corte di legittimità che, in numerose pronunce, ha ribadito che incombe sul datore di lavoro l’onere di provvedere, non solo ad individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, ai fini della redazione del suddetto documento, ma anche di provvedere al suo aggiornamento”. Quanto, infine, alla lamentela riguardante la mancata contestazione dell’addebito della omessa formazione delle lavoratici, oggetto della condanna, la Sez. IV ha rammentato che in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa. Pertanto alla luce di tale consolidato orientamento la Corte dio Cassazione non ha ritenuta fondata la censura difensiva riguardante l’addebito, formalmente non contestato all’imputato, della omessa formazione delle lavoratrici.