Psicologicamente mi sento al sicuro?
Negli ambienti lavorativi, la natura delle mansioni sta subendo un forte cambiamento: la modularità, la prevedibilità, gli aspetti routinari stanno lasciando il posto a compiti che richiedono capacità di giudizio, di proporre nuove idee, di comunicazione e di gestione dell’incertezza. Questi cambiamenti mettono sempre di più in primo piano il ruolo delle possibilità espressive dei lavoratori, nelle dinamiche di una organizzazione. Ed è proprio nel grazie ai lavoratori e ai dirigenti che risulta essenziale l’instaurarsi di un clima di sicurezza psicologica, che renda le persone libere di esprimersi e di raggiungere alti obbiettivi.
Il termine “sicurezza psicologica” nasce nel 1990, ed è definita come l’atmosfera in cui le persone riescono a mostrare ed impiegare se stesse in una attività, senza paura delle possibili conseguenze negative. E’ importante che gli ambienti di lavoro siano il più possibile “psicologicamente sicuri”, dal momento che in tali ambienti, i lavoratori possano sentirsi liberi di sbagliare e di condividere questi errori con altri senza la pausa di sentirsi umiliati, in imbarazzo o, addirittura, puniti. Si crea perciò un ambiente di lavoro libero dal pregiudizio e dal giudizio, in cui si gode di una fiducia reciproca, ed aperto alla crescita personale ed aziendale. È importante perciò che, al fine di orientare i comportamenti dei nostri colleghi e collaboratori, si generi una comunicazione che si impronti sul concetto di sicurezza psicologica.
Come definito da Edmondson, la sicurezza è un fenomeno a livello di gruppo, che genera apprendimento di schemi comunicativi efficaci, che si riflettono nella creazione di comportamenti altrettanto efficaci e di prestazioni lavorative migliori. Parte essenziale del processo di generazione di un clima di sicurezza psicologica è, come già anticipato precedentemente, la fiducia, che gioca un ruolo nella condivisione della conoscenza così come nella mediazione del processo.
Molto spesso, all’interno di organizzazioni in cui non vi è un clima di sicurezza psicologica, i lavoratori hanno paura di essere giudicati nell’esprimere una opinione che può rivelarsi errata; in una organizzazione psicologicamente sicura invece, viene incoraggiato lo scambio di opinioni e di idee, al fine di stimolare l’apprendimento e l’insight. L’assenza di paura di un potenziale giudizio crea nel lavoratore un senso di fiducia in sé e nel suo team, un maggior engagement verso l’azienda e una spinta a raggiungere nuovi e migliori obbiettivi aziendali.
Per creare un ambiente di lavoro “psicologicamente sicuro” è necessario apportare delle modifiche soprattutto alla comunicazione tra colleghi e da parte dei superiori; è necessario invitare alla partecipazione alle questioni aziendali, astenendosi dal giudicare le idee proposte. Inoltre, è consigliato reagire in modo produttivo, esprimendo apprezzamento in caso di successo ed evitando di condannare l’insuccesso con, chiaramente, punizioni se non quando vi siano violazioni evidenti: in questo modo è possibile ottenere un orientamento volto all’apprendimento continuo. Un altro modo per generare un clima simile è motivare lo sforzo dei lavoratori, in modo tal da far comprendere l’importanza che ognuno ha nelle sorti dell’organizzazione. Infine, sarebbe giusto proporre una continua autovalutazione della leadership aziendale, per far sì che il processo di apprendimento non coinvolga soltanto i lavoratori, ma anche i diretti superiori.
Attuare questa serie di comportamenti virtuosi porta benefici non solo per quanto riguarda il morale del lavoratore ma anche vantaggi materiali e più immediatamente tangibili, per l’organizzazione: migliora infatti la probabilità che un tentativo di innovazione del processo abbia successo, migliora il processo di apprendimento sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo, aumenta il coinvolgimento dei dipendenti (il cosiddetto “engagement”) e migliora la qualità dell’innovazione.
Altri benefici misurabili sono la riduzione degli incidenti sul lavoro, la riduzione del ricambio di personale dal momento vi sono meno possibilità che un dipendente motivato e fidelizzato, che si sente apprezzato all’interno della propria organizzazione, cerchi un altro impiego in un’altra organizzazione.
A tal proposito, da una ricerca di Gallup e colleghi, pubblicata nel “State of the American Workplace report” è emerso che, negli Stati Uniti d’America, soltanto 3 dipendenti su 10 possono dire che le loro opinioni in azienda contino davvero, e che vengano perciò considerate seriamente. Dalla stessa ricerca è possibile notare che aziende virtuose, con un clima psicologicamente sicuro, vi è un ridotto ricambio del personale e un minor numero di incidenti sul lavoro.
Chiarito che cos’è la sicurezza psicologica, è giusto chiarire che cosa non lo è: in primo luogo un clima psicologicamente sicuro non indica necessariamente che sia formato da rapporti amicali; un clima psicologicamente sicuro, inoltre, è composto da persone che esprimeranno le proprie idee e preoccupazioni indipendentemente dal proprio modo di entrare in relazione, sia esso estroverso, sia esso timido. Inoltre, non significa abbassare il livello delle performances lavorative: la sicurezza psicologica permette di sbagliare in ambienti con standard alti, ma risulta essenziale la volontà di porre rimedio, grazie a forti spinte motivazionali generando, perciò, zone di apprendimento e performance sempre migliori.
In virtù delle considerazioni esposte precedentemente, risulta evidente la necessità nelle organizzazioni di adottare uno stile di leadership orientato allo sviluppo di nuove forme di comunicazione al fine di generare e preservare alti livelli di sicurezza psicologica, motivazione e impegno lavorativo tra i lavoratori.
Per una leadership è possibile comprendere se sta promuovendo la sicurezza psicologica all’interno del suo team. In primo luogo, è utile incoraggiare i lavoratori ad esprimere il loro pensiero, convergente o divergente, in secondo luogo è opportuno porsi con un ascolto attivo alle richieste e alle idee dei lavoratori. Anche nel fallimento, che deve essere scoraggiato ma non punito, dal momento che risulta una delle forme primarie di apprendimento, è utile agire con azioni correttive rapide, al fine di evitare un eccesso di frustrazione da parte di chi ha sbagliato.
Nell’emergenza sanitaria che ha compito tutte le aziende a livello globale, sarebbe auspicabile uno stile comunicativo volto alla sicurezza psicologica. L’adozione di comportamenti di sicurezza in un contesto emergenziale deve rappresentare un sistema valoriale interiorizzato e che quindi naturalmente si dovrà esprimere anche in futuri e auspicabili contesti diversi. A tal riguardo credo che sia opportuno che ogni azienda crei una sua narrazione della capacità di gestione della crisi emergenziale in modo da dare forza al valore a tale potenzialità. Generare un senso di alleanza e di collaborazione all’interno di una organizzazione è una sfida non solo per il presente ma anche per il futuro.
Componenti come la fiducia, il lavoro di squadra, la flessibilità, l’empatia sono elementi facilitatori nella gestione non solo della crisi attuale ma anche di future crisi. Invece, l’eccessivo controllo su ogni processo da parte della azienda, la riluttanza a far esprimere le potenzialità e le idee dei propri dipendenti per paura di creare ulteriore instabilità, può generare reazioni avverse del lavoratore contro l’organizzazione.
Un ulteriore aspetto da non punire ma da considerare positivamente è l’attrito organizzativo: bisogna evitare il silenzio organizzativo dei collaboratori sul futuro e l’ottimismo retorico, a favore perciò di una mentalità aperta al cambiamento, alla sperimentazione e proattiva.
È importante perciò, che l’azienda ascolti i propri lavoratori, sia in termini di proposte e idee, sia in termini di preoccupazioni, generando quello che può essere definito un “ascolto empatico”, volto a comprendere gli stati d’animo, a gestirli e a risolverli collettivamente.